Venerdì, 19 Aprile 2024

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Notizie ANSA

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Roma oscura - Giugno 2023

  1. «Roma è una città che non produce più niente, non ci sono industrie, non c'è cultura d'impresa, l'economia è parassitaria, il turismo è di terz'ordine. I ministeri, il Vaticano, la Rai, i tribunali… ecco di cosa è fatta Roma, una città che produce ormai solo potere, potere che ricade su altro potere, che schiaccia altro potere, che concima altro potere, il tutto senza mai un progresso, è normale che poi la gente impazzisce».

    Il romanzo La città dei vivi di Nicola Lagioia è uno spaccato crudele ma reale della città eterna; la capitale più bella del mondo ingloba in sé lo stato più piccolo, ma per certi versi più grande del mondo: la Città del Vaticano. Quando cinematograficamente si pensa alla Grande Bellezza, Roma assorbe integralmente questo appellativo: città grandiosa, eterea e per alcuni versi maledetta e misteriosa.

    Nell’ombra di questa bellezza, nelle pieghe del potere che prende fluidamente forma nelle stanze delle poltrone e nella spirale degli appartamenti sacri, da sempre sono custoditi silenziosamente misteri irrisolti. Ieri come oggi, forse come domani: micro-storie di persone “normali” che nella città dei vivi hanno conquistato tragicamente l’attenzione dell’opinione pubblica.

    Come è successo, per esempio, nel caso di tre donne, con una vita apparentemente normale, inghiottite nell’ombra onnivora di una città tanto meravigliosa quanto famelica. Loro si chiamavano Mirella Gregori, Emanuela Orlandi e Simonetta Cesaroni. Diverse, ma legate da un invisibile filo misterioso.

    Mirella Gregori: un caso nell’ombra

    Quando si parla di Mirella Gregori spesso lo si fa solo marginalmente al caso più famoso della coetanea Emanuela Orlandi; strano il destino di questa ragazza quindicenne che, dopo il clamore inziale, non ha avuto lo stesso risalto mediatico della citata vicenda analoga.

    La sparizione di Mirella Gregori è avvenuta il 7 maggio 1983 a Roma. L’aspetto, dunque, che in primis attira l’attenzione è certamente il luogo: la Città del Vaticano. Come può il luogo spirituale per eccellenza essere il palcoscenico di misteriose sparizioni? Sebbene storicamente fatti, per così dire “misteriosi”, sono sempre accaduti all’ombra del Cupolone e in alcuni casi anche dentro le gloriose stanze.

    Mirella Gregori era nata a Roma il 7 ottobre 1967; per uno strano gioco del destino era nata ed è scomparsa nello stesso giorno, sebbene in mesi diversi. I più attenti noteranno il valore esoterico e profondamente spirituale di questo numero, ma forse si tratta solo di un caso.

    Mirella era la figlia minore dei titolari di un bar in via Volturno e viveva con i suoi genitori in via Nomentana; studiava con profitto presso un istituto tecnico della capitale.

    Il giorno della scomparsa, la ragazza si è recata regolarmente a scuola ed è tornata a casa verso le 14, dopo essersi intrattenuta in un bar vicino nelle vicinanze assieme all'amica Sonia De Vito.

    Tornata a casa, Mirella è stata chiamata al citofono da un sedicente amico, tale Alessandro, alle cui richieste di uscire avrebbe esclamato: «Se non mi dici chi sei, non scendo!», per poi prendere tempo e proporre di vedersi verso le 15. A quell'ora, la ragazza effettivamente è uscita, dicendo alla madre che aveva un appuntamento presso il monumento al bersagliere di Porta Pia con un vecchio compagno di classe il quale ascoltato poi dagli inquirenti dichiarerà che quel pomeriggio era impegnato altrove. Da quel momento la famiglia non ha più avuto notizie della ragazza.

    La madre ha successivamente riferito un avvenimento particolare che forse non è stato mai approfondito adeguatamente: la figlia poco prima di sparire si vantava con lei di essere in grado di trovare il denaro necessario all'acquisto di un appartamento che i genitori non si potevano permettere. La stessa madre, durante una visita del Papa alla parrocchia romana di San Giuseppe il 15 dicembre 1985, ha riconosciuto in un uomo della gendarmeria vaticana facente parte della scorta, Raoul Bonarelli, una persona che spesso si intratteneva con la figlia e una sua amica in un bar vicino casa.

    Il caso è rimasto irrisolto, ma nel corso degli anni, come si diceva, si è sempre più o meno velatamente intrecciato con quello di Emanuela Orlandi, ma soprattutto con trame di potere di portata internazionale; infatti secondo la testimonianza di Mehmet Ali Ağca, attentatore di Giovanni Paolo II, la scomparsa delle due ragazze sarebbe collegata a quella del giornalista sovietico Oleg G. Bitov, avvenuta il 9 settembre dello stesso anno presso il Festival del Cinema di Venezia. In diversi comunicati l'organizzazione di estrema destra turca dei Lupi Grigi avrebbe dichiarato di custodire entrambe le ragazze. In realtà, secondo quanto dichiarato da Günter Bohnsack, ex-ufficiale della Stasi (il servizio segreto della Germania Est), sarebbero stati i servizi della Germania Est, assieme a quelli bulgari e ai sovietici del KGB, a servirsi del caso delle due quindicenni e in particolare di quello della Orlandi.

    Emanuela Orlandi: il grande mistero vaticano

    Chi ha vissuto l’adolescenza a cavallo della prima metà degli anni ’80 ha ben chiaro nella memoria i mesi di angoscia vissuti per la misteriosa scomparsa in particolare di una ragazza la cui immagine con una fascia in testa divenne quasi un’icona. La notizia ebbe una grande eco nazionale e internazionale e ha occupato le cronache dei giornali per diverso tempo; il suo nome era Emanuela Orlandi, anch’essa cittadina vaticana, scomparsa il 22 giugno 1983 mentre rientrava a casa dopo le lezioni di musica.

    La vicenda è un intricato dedalo di implicazioni, complicazioni e sospetti a vari livelli che ha coinvolto a vario titolo lo stesso Stato Vaticano, lo Stato Italiano, l'Istituto per le opere di religione, il Banco Ambrosiano e i servizi segreti di diversi stati, nonché la banda della Magliana e alcune organizzazioni terroristiche internazionali.

    Emanuela era nata a Roma il 14 gennaio 1968, penultima figlia di Ercole, commesso della Prefettura della casa pontificia e Maria Pezzano.

    Nel giugno 1983 aveva appena terminato il secondo anno del liceo scientifico presso il convitto nazionale Vittorio Emanuele II, ma frequentava da anni anche l'Accademia di Musica Tommaso Ludovico da Victoria in piazza Sant'Apollinare dove seguiva i corsi di pianoforte, flauto traverso, canto corale e solfeggio.

    Il giorno della scomparsa è uscita da casa alle 16 circa per recarsi proprio alle lezioni di musica che si sarebbero tenute fino alle 19. Uscita dalla lezione di canto dieci minuti prima del previsto ha telefonato a casa da una cabina; le aveva risposto la sorella Federica alla quale aveva riferito che un uomo l'aveva fermata proponendole un lavoro di volantinaggio da svolgersi durante una sfilata di moda nell'atelier delle Sorelle Fontana che si sarebbe tenuta dopo pochi giorni.

     Dopo la telefonata con la sorella ha aspettato l'uscita delle altre compagne del corso di canto e insieme a due di esse, Raffaella Monzi e Maria Grazia Casini, ha raggiunto la fermata dell'autobus in Corso Rinascimento. Intorno alle 19:30, prima Maria Grazia e poi Raffaella sono salite su due differenti autobus, mentre, a detta di Raffaella, Emanuela non è salita sull'autobus poiché troppo affollato, dicendo che avrebbe atteso quello successivo. Da quel momento si sono perse definitivamente le tracce della ragazza.

    Secondo un'altra versione, dopo la telefonata, Emanuela avrebbe confidato all'amica Raffaella Monzi che sarebbe rimasta ad attendere l'uomo che le aveva fatto l'offerta di lavoro.

    Da questo momento iniziarono una strana girandola di telefonate anonime che crearono una notevole confusione nelle indagini e un clima di sospetti misto a speranze.

    Già da subito, per esempio, arrivò agli Orlandi una chiamata da parte di un giovane che disse di chiamarsi Pierluigi il quale raccontò che insieme alla sua fidanzata aveva incontrato a Campo de' Fiori due ragazze, una delle quali vendeva cosmetici, che aveva con sé un flauto e diceva di chiamarsi Barbara.

    Qualche giorno dopo la famiglia è stata contattata da un tale Mario, sedicente titolare di un bar nel centro di Roma, nei pressi di piazza dell'Orologio assai vicina al Ponte Vittorio, lungo il tragitto che Emanuela percorreva abitualmente per recarsi alla scuola di musica. Anch'egli sosteneva di aver visto un uomo e due ragazze che vendevano cosmetici, una delle quali diceva di essere di Venezia e chiamarsi Barbarella. In una seconda telefonata Mario ha spiegato che Barbara gli avrebbe confidato di essersi allontanata volontariamente da casa perché stufa della routine domestica, ma di essere intenzionata a fare rientro alla fine dell'estate per il matrimonio della sorella.

    Nel corso degli anni si sono succedute varie ipotesi e indiscrezioni; ad esempio una fonte anonima nel 2005 avrebbe fatto rivelazioni circa il decesso della ragazza, forse accidentale, in seguito a un "incontro conviviale" tenutosi in una casa del Gianicolo nella residenza di un alto prelato o comunque di una persona vicina agli ambienti vaticani e che il suo cadavere sarebbe stato probabilmente occultato nelle vicinanze.

    A un certo punto della vicenda sembra esserci un colpo di scena: l'11 luglio del 2005, alla redazione del programma Chi l'ha visto? è arrivata una telefonata anonima in cui si diceva che per risolvere il caso di Emanuela Orlandi era necessario andare a vedere chi fosse sepolto nella basilica di Sant'Apollinare e tenere in conto «del favore che Renatino fece al cardinal Poletti». Si è scoperto poi che il defunto era il capo della Banda della Magliana, ossia Enrico De Pedis (detto Renatino).

    A questo punto è entrata in scena una figura particolare: Sabrina Minardi, compagna all’epoca proprio di De Pedis che ha raccontato di essere arrivata in auto al bar del Gianicolo, dove De Pedis le aveva detto di incontrare una ragazza che avrebbe dovuto «accompagnare al benzinaio del Vaticano». All'appuntamento arrivarono una BMW scura, con alla guida un certo Sergio (autista di De Pedis) e una Renault 5 rossa con a bordo una certa Teresina (la governante di Daniela Mobili, amica della Minardi) e una ragazzina in stato confusionale, riconosciuta dalla testimone proprio come Emanuela Orlandi. Sergio l'avrebbe messa nella BMW alla cui guida andò la Minardi stessa. Rimasta sola in auto con la ragazza, la donna notò che questa «piangeva e rideva insieme» e «sembrava drogata». Arrivata al benzinaio, trovò ad aspettare in una Mercedes targata Città del Vaticano un uomo «che sembrava un sacerdote» che la prese in consegna. La ragazza avrebbe, quindi, trascorso la sua prigionia a Roma in un'abitazione di proprietà di Daniela Mobili in via Antonio Pignatelli 13 a Monteverde che aveva «un sotterraneo immenso che arrivava quasi fino all'Ospedale San Camillo».

    Dopo essere stata ritenuta una testimone chiave e affidabile, le dichiarazioni di Sabrina Minardi si sono fatte sempre di più confusionarie e contraddittorie. A un certo punto, per esempio, ha sostenuto che Emanuela Orlandi sarebbe stata uccisa e il suo corpo, rinchiuso dentro un sacco, sarebbe stato gettato in una betoniera a Torvaianica, mentre in una seconda dichiarazione, invece, avrebbe detto che sarebbe stato gettato in mare. Stando a quanto riferito dalla donna, comunque, il rapimento di Emanuela sarebbe stato effettuato materialmente da De Pedis, su ordine di monsignor Marcinkus «come se avessero voluto dare un messaggio a qualcuno sopra di loro».

    Nel 2012 il giornalista Giuseppe Nicotri ha sostenuto che secondo alcune dichiarazioni di Mehmet Ali Ağca nel rapimento della Orlandi vi sarebbe stato il coinvolgimento di Giovanni Adamo II del Liechtenstein che avrebbe partecipato a un incontro in Vaticano avvenuto l'11 giugno 1983 (tra i presenti ci sarebbe stato anche il cardinal Agostino Casaroli) nel quale è stato deciso il sequestro e il trasferimento di Emanuela in Liechtenstein.

    In questo meandro di ipotesi, sospetti e illazioni si fa strada anche la possibilità che effettivamente la Orlandi fosse stata rapita dalla Banda della Magliana per ottenere la restituzione del denaro investito nello IOR attraverso il Banco Ambrosiano, come ipotizzato dal giudice Rosario Priore. Secondo queste ipotesi, dunque, di riflesso l'omicidio di Michele Sindona e quello di Roberto Calvi sarebbero legati proprio al sequestro Orlandi.

    Il 14 maggio 2012 è stata aperta la tomba di De Pedis, ma al suo interno era presente unicamente la salma del defunto che, per espresso desiderio dei familiari, è stata poi cremata. Si è scavato anche più approfonditamente, ma sono state trovate solo nicchie con resti di ossa risalenti al periodo napoleonico e niente altro.

    La vicenda sembra interminabile e piena sempre di nuovi elementi. Nel settembre 2017 il giornalista Emiliano Fittipaldi ha pubblicato nel suo libro un documento datato 28 marzo 1998 spedito per conoscenza dall'allora capo dell'APSA (l'ente che amministra il patrimonio della Santa Sede) cardinale Lorenzo Antonetti (morto tre anni prima) agli arcivescovi Giovanni Battista Re (allora sostituto per gli Affari generali della segreteria di Stato) e Jean-Louis Tauran (addetto ai Rapporti con gli Stati) dal titolo Resoconto sommario delle spese sostenute dallo stato Città del Vaticano per le attività relative alla cittadina Emanuela Orlandi; al primo capoverso si legge: «La prefettura dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica ha ricevuto mandato di redigere un documento di sintesi delle prestazioni economiche resosi necessarie a sostenere le attività svolte a seguito dell'allontanamento domiciliare e delle fasi successive allo stesso della cittadina Emanuela Orlandi». Il resoconto in possesso di Fittipaldi è un documento dattiloscritto ma non contiene timbri ufficiali e quindi potrebbe essere anche un falso, ma elenca le spese che sarebbero state sostenute tra il gennaio 1983 (sei mesi prima della scomparsa) e il luglio 1997 per la gestione della vicenda Orlandi per una somma totale di 483 milioni di lire e in particolare sono riportate le cifre relative alle rette di vitto e alloggio presso l'ostello delle studentesse dei padri scalabriniani al 176 di Clapham Road a Londra dove la ragazza avrebbe vissuto in clandestinità per diversi anni.

    Una storia che purtroppo ad oggi non ha trovato un epilogo e una soluzione ma solo un impenetrabile muro di gomma, dietro il quale probabilmente si nascondono indicibili segreti e trame oscure di alto livello.

    Il delitto di via Poma

    Mirella ed Emanuela non sono stati casi isolati, ma forse i più significati di un preciso peridio storico; alla ribalta delle cronache qualche anno dopo ancora un’alta ragazza: stiamo parlando dell’assassinio di Simonetta Cesaroni consumato nel pomeriggio di martedì 7 agosto 1990 in un appartamento al terzo piano del complesso di via Carlo Poma n. 2 nel quartiere Della Vittoria.

    Simonetta Cesaroni era nata il 5 novembre 1969 nel quartiere Don Bosco zona Lamaro. A gennaio del 1990 aveva iniziato a lavorare come segretaria per alcuni giorni a settimana presso la Reli Sas (uno studio commerciale) che aveva tra i suoi clienti la A.I.A.G. (Associazione Italiana Alberghi della Gioventù).

    Il pomeriggio del 7 agosto 1990 si era recata presso la sede per sbrigare alcune pratiche; alle 17:15 risalirebbe l'ultimo riscontro certo di Simonetta ancora in vita in quanto ha fatto una telefonata di lavoro a Luigia Berrettini. I familiari, non vedendola tornare, alle 21:30 hanno deciso di cercarla. Accompagnati dal datore di lavoro, la sorella Paola e il fidanzato di questa sono giunti presso gli uffici di via Poma, dove si sono fatti aprire la porta dalla moglie del portiere alle 23:30, trovando il cadavere di Simonetta, uccisa con 29 coltellate.

    Dalle indagini è emerso come, dopo le 17:30, ultimo contatto di Simonetta secondo le ricostruzioni degli inquirenti, ci sia stato con ogni probabilità negli uffici un uomo con il quale Simonetta ha avuto una colluttazione terminata nella stanza opposta a quella dove lavorava e dove sarà poi ritrovata. È stata colpita al volto con un manrovescio che l’ha tramortita. È stata poi immobilizzata a terra: qualcuno si è messo in ginocchio sopra di lei e si è accanito con sei colpi inferti al viso, all'altezza del sopracciglio destro, nell'occhio destro e poi nell'occhio sinistro, otto lungo tutto il corpo, sul seno e sul ventre e quattordici dal basso ventre al pube, ai lati dei genitali.

    Alcuni abiti di Simonetta, fuseaux sportivi blu, la giacca e gli slip sono stati portati via assieme a molti effetti personali che non saranno mai ritrovati, tra cui gli orecchini d'oro, un anello d'oro, un bracciale d'oro e un girocollo d'oro, mentre l'orologio le fu lasciato al polso.

    I primi sospetti sono ricaduti immediatamente su uno dei portieri dello stabile, Pietrino Vanacore, anche perché non si trovava con gli altri nel cortile nell'orario che andava dalle 17:30 alle 18:30, cioè quando Simonetta era stata presumibilmente uccisa.

    Poche settimane dopo il proscioglimento definitivo di Pietrino Vanacore è arrivata in procura una lettera anonima che suggeriva di indagare sulla pista del Videotel: una conversazione alla quale si poteva accedere con il computer all'inizio degli anni novanta. La pista, battuta per alcuni anni dagli inquirenti, suggeriva l'ipotesi che Simonetta avesse fatto uso del computer dell'ufficio di via Poma per entrare in contatto con altri utenti. Così, casualmente, avrebbe conosciuto il suo assassino al quale avrebbe dato un appuntamento per quel tragico pomeriggio del 7 agosto 1990.

    A 20 anni di distanza dal delitto, il 9 marzo 2010 Vanacore si è suicidato gettandosi in mare, vicino a Torricella, dove viveva da anni.

    A febbraio 2005 è stato prelevato il DNA a 30 persone sospettate del delitto, tra cui anche Raniero Busco, fidanzato di Simonetta ai tempi del delitto. Il corpetto e il reggiseno della ragazza avevano dato un risultato utile: un DNA di sesso maschile. Nel processo di primo grado, concluso nel 2011, Busco è stato condannato, ma in quello di appello, concluso nel 2012, è stato assolto e lo stesso esito è stato poi confermato anche dalla cassazione nel 2014.

    Inoltre nelle indagini sono emersi anche alcuni elementi molto strani collegati alle attività della AIAG di via Poma: l'ufficio sarebbe stato un luogo di copertura per alcune attività dei servizi segreti italiani nell'ambito della cooperazione allo sviluppo in Somalia; Simonetta, incaricata di stipulare contratti per conto di alcune società al di fuori della sua normale professione, sarebbe stata a conoscenza di queste attività illecite.

    Tra le piste alternative seguite subito dopo l'omicidio vi è anche quella di un omicidio voluto della Banda della Magliana ed effettuato materialmente dai servizi segreti italiani con la complicità del Vaticano. Si è prospettata l’ipotesi, infatti che la ragazza avesse scoperto quasi per caso negli archivi della stessa A.I.A.G. documenti che testimoniavano dei presunti favori fatti dalla stessa agenzia e altri enti edili a favore della Banda della Magliana con il benestare del Vaticano.

    Questa ultima pista, incredibilmente, si riconduce alle vicende di Mirella Gregori ed Emanuela Orlandi. Tutte queste storie restano sospese, tra il definito e l’indefinito, proprio come un ultimo sospiro tra la vita e la morte. A tal proposito ancora Nicola Lagioia nel suo romanzo afferma: «Ci sono le città dei vivi, popolate da morti. E poi ci sono le città dei morti, le uniche dove la vita abbia ancora un senso».