Giornalista iscritto all'Albo Nazionale dal 2012
Attualmente redattore del mensile Mistero
rivista dell'omonima trasmissione televisiva di Italia Uno
Per contatti e richiedere la presentazione dei libri mail: g.balena@libero.it
«Immagina se l’oro diventasse piombo quando viene rubato. Se il ladro lo restituisce, torna ad essere d’oro». Questo enigmatico tweet è apparso a marzo del 2019 da un account Twitter dedicato alle citazioni di un personaggio enigmatico conosciuto con il nome di Satoshi Nakamoto. Sebbene fosse una citazione presa da un post del forum BitcoinTalk del 2010 ha rinverdito uno dei misteri più curiosi nell’ambito della recente storia della tecnologia. Chi si nasconde dietro l’identità del misterioso Satoshi Nakamoto?
Si tratta di un personaggio misterioso e al suo nome è strettamente legato la prima criptomoneta creata e quella forse più rappresentativa: Bitcoin. Il software di funzionamento è stato programmato nel 2008 dopo aver scritto un post in un gruppo di discussione dove veniva annunciato proprio l’avvio del progetto. Sul documento che battezza la criptovaluta era presente un solo indirizzo mail (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) attivo e utilizzato sin dagli albori del progetto.
Intorno allo pseudonimo di Satoshi Nakamoto si sono fatte varie congetture, ma non si è mai riusciti a identificare con certezza l’identità; addirittura, come abbiamo visto, non si sa nemmeno se si tratta di una singola persona o di un gruppo di persone. Adam Penenberg, un professore della New York University, sostiene che dietro il personaggio misterioso ci sarebbero quattro persone: Neal King, Robertz Pulitano, Vladimir Oksman e Charles Bry.
In giapponese "satoshi" significa "un pensiero chiaro, veloce e saggio". "Naka", invece, può significare "medium", "dentro" o "relazione". "Moto" potrebbe significare "origine" o "fondamento".
Inizialmente in molti hanno pensato che il creatore di Bitcoin fosse Dorian Satoshi Nakamoto, ossia un professore di informatica americano di origine giapponese, ma lo stesso ha negato categoricamente.
Poi i sospetti si sono spostati su Michael Clear e su Vili Lehdonvirta; quest’ultimo in particolare è uno sviluppatore finlandese di giochi (ma anche sociologo ed economista). Anche loro però hanno smentito ufficialmente qualsiasi rapporto con Satoshi Nakamoto.
Nei primi tempi l’utente al quale corrispondeva questo nome rispondeva in maniera attiva sul forum BitcoinTalk; questo fino alla metà del 2010 quando, dopo un periodo di assenza, ha fatto sapere che si stava già dedicando a un altro progetto. Nella scheda di registrazione presso la fondazione P2P risulta essere un maschio sulla quarantina vivente in Giappone, ma tenendo conto degli orari di pubblicazione dei suoi interventi è più probabile che vivesse in America.
Nel dicembre 2015 due articoli d'inchiesta indicavano il nome di Craig Steven Wright, ossia un importante imprenditore australiano. Nel giro di poche ore, stranamente, sono state effettuate perquisizioni nella casa e nell'ufficio di Wright da parte della polizia federale australiana, pur smentendo che ci sia un collegamento diretto con la vicenda del misterioso pseudonimo.
Altri due papabili sono Nick Szabo e Hal Finney. Il primo è un esperto americano di crittografia che già nel 1998 aveva teorizzato il "bit gold", ossia una valuta digitale unanimemente riconosciuta come antenata di Bitcoin. Proprio nel 2008 Szabo scriveva un post in cui rivelava l'intenzione di passare dalla teoria alla pratica creando una criptovaluta realmente utilizzabile. Finney, invece, è stato l'uomo che ha ricevuto la prima transazione in Bitcoin da Satoshi Nakamoto, quindi uno dei primi a essersi interessato al progetto, pertanto secondo alcune indiscrezioni potrebbe aver conosciuto direttamente lo stesso Nakamoto o addirittura aver utilizzato lui stesso quel nome.
Le ipotesi più strane su Satoshi Nakamoto
Nel 2017, dopo una soffiata di un dipendente di SpaceX, è comparsa sul web la notizia che dietro allo pseudonimo si nascondesse Elon Musk, ipotesi poi smentita dallo stesso imprenditore sul suo account Twitter.
Curiosa è poi l’esternazione di Natalia Kaspersky, ex moglie di Evgenij Kasperskij co-fondatrice insieme all’ex marito di Kaspersky Lab e titolare dell’azienda di cybersecurity Infowatch. La notizia assume una valenza particolare visto che proviene proprio da un’esperta in ambito tecnologico. Secondo la Kaspersky, infatti, dietro il creatore di Bitcoin, si celerebbe “un gruppo di crittografi americani” e quindi sarebbe un’invenzione dei servizi segreti statunitensi.
Secondo altri invece dietro Bitcoin si nasconderebbero i servizi segreti russi o cinesi. Tra i sostenitori di questa versione c'è addirittura Roberto Escobar, fratello del narcotrafficante Pablo, anche egli convinto che si tratti di una creazione della Cia. Escobar riferisce inoltre di aver parlato telefonicamente con la persona dei servizi segreti che avrebbe impersonato l’identità e di possedere addirittura la copia del suo passaporto.
Secondo una delle tante leggende in circolazione, sarebbe un nome creato dalle iniziali delle aziende che hanno creato Bitcoin: Sa (Samsung) toshi (Toshiba) Naka (Nakamichi) moto (Motorola).
Sembrerebbe che l’American National Security Agency (NSA), ossia l’agenzia americana che si occupa della sicurezza nazionale, ha scoperto l’identità di Satoshi Nakamoto il 26 agosto 2017, ma non l’ha mai rivelato pubblicamente. Secondo una fonte anonima e interna alla stessa agenzia: «Prendendo i testi di Satoshi e trovando le 50 parole più comuni, l’NSA è stato in grado di suddividere il suo testo in 5.000 parole e analizzare ciascuna per trovare la frequenza di quelle 50 parole. In questo modo sarebbe stato possibile ottenere un identificatore unico di 50 numeri per ogni pezzo. L’NSA ha quindi collocato ciascuno di questi numeri in uno spazio di 50 dimensioni e li ha appiattiti in un piano utilizzando l’analisi dei componenti principali. Il risultato è una “impronta digitale” per qualsiasi cosa scritta da Satoshi che potrebbe essere facilmente paragonabile a qualsiasi altro stile di scrittura».
Che cosa sappiamo oggi
Sta di fatto che al netto di tutto Satoshi Nakamoto dovrebbe possedere attualmente un tesoretto consistente. Un esperto argentino, Sergio Demian Lerner, ha provato a stimarla: Nakamoto avrebbe generato 980.000 Bitcoin. Se li avesse ancora tutti nel proprio portafogli digitale equivarrebbero oggi a circa 6,3 miliardi di dollari, abbastanza per entrare nella lista dei 250 uomini più ricchi del pianeta.
Chiunque o qualsiasi cosa sia, Satoshi Nakamoto è stato addirittura candidato al Nobel. Nel 2015, infatti, Bhagwan Chowdhry, professore di finanza della University of California, ha fatto il suo nome all'Accademia reale delle Scienze svedese. Non se ne è fatto poi nulla, anche perché si sarebbe presentato il problema relativamente a chi avrebbe ritirato il premio.
L’affascinante mistero riguardante l’identità di Satoshi Nakamoto è stato ripreso anche dallo scrittore inglese Andrew O’Hagan che ha cercato di mettersi sulle tracce di questo personaggio e ha pubblicato i risultati della sua indagine nel libro “La vita segreta: tre storie vere dell’era digitale”. Nel volume, oltre al mistero di Nakamoto, l’autore analizza anche il fenomeno del Dark Web e il controverso caso di Julian Assange.
Nonostante il grande clamore intorno al mondo Bitcoin e in particolare in merito al misterioso nome del fondatore, attualmente tutto il progetto è portato avanti da quattro persone:
Gavin Andresen: ricercatore capo del consiglio del Bitcoin Foundation (dalla quale è l’unico che riceve una remunerazione) ed è l’erede designato dal fondatore Satoshi Nakamoto;
Jeff Garzik: ingegnere e sviluppatore del sistema Bitcoin con grandi conoscenze in ambito matematico;
Mike Hearn: ingegnere della società del famoso motore di ricerca Google ma molto influente nella comunità Bitcoin; il fatto che lavori presso il maggiore colosso tra i motori di ricerca ovviamente confermerebbe che il progetto in realtà non può essere considerato puramente spontaneo e nato dal basso;
Matt Corallo: uno dei membri del team di sviluppo e da sempre dietro le quinte;
Pieter Wiuelle: il responsabile sviluppatore del codice sorgente del sistema.
Cosa si nasconde dietro questo nome e soprattutto dietro al progetto Bitcoin? Una rivoluzione monetaria dal basso o un progetto pilotato dai soliti poteri forti?
Bitcoin e Libra: le monete del futuro
«Sappiate che la gente era scettica anche quando la carta moneta ha spodestato l’oro». L’affermazione provocatoria di Lloyd Blankfein, ceo di Goldman Sachs, fa riflettere e non poco. Ma cosa dovrebbe soppiantare i soldi ai quali ancora tanto siamo affezionati? L’irruzione di Internet nell’evoluzione tecnologica galoppante ha rivoluzionato totalmente numerosi aspetti della vita quotidiana e in particolare sta riscrivendo anche un nuovo paradigma di riferimento della moneta che in prima battuta potremmo definire “elettronica”. Come si può ben intuire il connubio tra Internet e moneta elettronica di per sé potrebbe sembrare a prima vista addirittura scabroso, questo perché l’utilizzo delle forme di pagamento online potrebbe diffondersi capillarmente e avere successo ovviamente solo se è protetto e garantito.
La rete rende tutto veloce e accessibile, in altri termini la parola d’ordine è l’immediatezza. Per fare solo alcuni esempi: quando si spedisce una mail arriva istantaneamente, allo stesso modo possiamo usufruire di un video o di una canzone in pochissimi secondi digitando semplicemente il titolo. Se ci pensiamo bene, però, la stessa cosa non accade quando si sparla di pagamenti online. Il trasferimento di denaro, per esempio facendo un bonifico online, rende di fatto disponibili i soldi presso il destinatario dopo non meno di tre giorni lavorativi. Questo essenzialmente perché la transazione passa al vaglio di un intermediario bancario e quindi segue le tempistiche proprie degli istituti di credito pur transitando attraverso la rete che rende tutto immediato. Inoltre spesso paghiamo anche una commissione aggiuntiva. Allora quali sono le novità dirompenti introdotte da quelle che possiamo definire in maniera più specifica criptovalute?
Cosa sono le criptovalute
Già da qualche anno anche i cosiddetti poteri forti sono stati costretti a esprimersi su quello che stava diventando un fenomeno non solo relegato alla rete ma ormai sempre più diffuso. In una nota ufficiale del 30 gennaio 2015 la Banca d’Italia si esprimeva sulle valute virtuali a testimonianza del fatto che il fenomeno ormai era di pubblico dominio e iniziava a interessare anche le istituzioni: «Le cosiddette valute virtuali sono rappresentazioni digitali di valore, utilizzate come mezzo di scambio o detenute a scopo di investimento, che possono essere trasferite, archiviate e negoziate elettronicamente. Alcuni esempi sono Bitcoin, LiteCoin, Ripple. Create da soggetti privati che operano sul web, le valute virtuali non devono essere confuse con i tradizionali strumenti di pagamento elettronici (carte di debito, carte di credito, bonifici bancari, carte prepagate e altri strumenti di moneta elettronica, ecc.). Le valute virtuali differiscono dalle piattaforme elettroniche finalizzate esclusivamente a favorire transazioni assimilabili a forme di baratto. Esse non rappresentano in forma digitale le comuni valute a corso legale (euro, dollaro, ecc.); non sono emesse o garantite da una banca centrale o da un’autorità pubblica e generalmente non sono regolamentate. Le valute virtuali non hanno corso legale e pertanto non devono per legge essere obbligatoriamente accettate per l’estinzione delle obbligazioni pecuniarie, ma possono essere utilizzate per acquistare beni o servizi solo se il venditore è disponibile ad accettarle».
Come possiamo dunque notare una prima caratteristica distintiva delle criptovalute rispetto ai pagamenti online è l’immediatezza poiché le monete digitali permettono l’istantanea esecuzione della transazione. Un’altra caratteristica rilevante è che questa nuova forma di moneta risente di riflesso della prerogativa intrinseca principale della rete: è svincolata rispetto a qualsiasi forma di verticismo. Le criptovalute, infatti, non sono collegate, come nel caso delle monete classiche, a un’istituzione che ne garantisce il valore, ma lo stesso è determinato solo dalla domanda e dall’offerta e dalla libera circolazione.
La creazione della nuova moneta si formalizza attraverso un’operazione tecnica definita “mining” ossia tradotto letteralmente significa “minare” cioè cavare ed estrarre il valore stesso della moneta tramite operazioni online. Questo processo determina la generazione di record di transazioni collegati a una specie di registro pubblico che si basa su complessi calcoli computazionali; ogni nuovo blocco creato deve essere controllato, validato e crittografato. Ecco perché si parla di criptomonete. La generazione, la registrazione e i trasferimenti avvengono tramite un database gratuito, distribuito, open source e accessibile a tutti garantito dal sistema definito Blockchain.
Le dinamiche che si stanno sviluppando in questi anni in tale settore sono complesse. Le criptovalute nascono e s’impongono, un po’ in generale come la stessa rete, in maniera spontanea e apparentemente senza l’input di poteri centrali e istituzionalizzati. Ora c’è da chiedersi: ma se nascono dal basso sganciate dai poteri forti ma potrebbero essere sfruttate proprio da questi per la realizzazione dei loro disegni millenari egemonici, perché le banche e i centri finanziari di potere hanno paura e in qualche modo le osteggiano? La risposta, forse, è perché essenzialmente questa è una fase di transizione dove evidentemente diversi soggetti stanno giocando la partita per la definizione degli assetti futuri in seno al potere economico-finanziario globale. Tale partita è difficile e complessa perché questa volta la rivoluzione parte realmente dal basso e risulta più difficile, ma non impossibile, concentrare il potere nelle mani di pochi.
L’esempio di Bitcoin
Le criptomonete potrebbero sembrare un’invenzione relativamente recente, ma in realtà affondano le radici ancor prima addirittura dello sviluppo e diffusione di Internet.
In particolare, per esempio, è possibile far riferimento al lavoro di Friedrich Hayek del 1976, “La denazionalizzazione della moneta”, nel quale veniva prefigurata la possibilità di dare ai privati il potere di emettere moneta fiduciaria, anche senza un legame intrinseco con l’oro in corrispettivo.
Fin dal 1982 erano state poste le basi teoriche per il cosiddetto “cash digitale” da parte di David Chaum in uno storico articolo dal titolo “Blind signatures for untraceable payments” (letteralmente “Firme cieche per pagamenti non tracciabili“).
Nel 1999, poi, il Premio Nobel Milton Friedman preconizzava una moneta digitale che fosse scambiata su Internet in modo tale che, come affermava l’economista, «io possa darti un biglietto da 20 dollari e tu prenderlo senza sapere chi io sia».
La nascita di Bitcoin è quindi la concretizzazione di un lungo percorso teorico che ha portato poi alla creazione della prima criptovaluta.
Bitcoin s’inserisce all’interno della cultura digitale e incarna in particolare un aspetto portante di essa: si tratta in altre parole del concetto dell’innovazione senza permesso. Lo stesso principio che governa la rete: non c’è bisogno di chiedere il permesso a nessuno se si vuole pubblicare qualcosa su Internet. Allo stesso modo con Bitcoin non c’è bisogno di chiedere il permesso a nessuno per utilizzarli, ma soprattutto sono nati spontaneamente proprio come la rete. È infatti possibile scrivere il codice sorgente ed entrare a far parte di una rete finanziaria internazionale in grado di eseguire le istruzioni dello stesso codice e mettere in contatto milioni di utenti. Non c’è bisogno di chiedere il permesso neanche per effettuare i pagamenti poiché non c’è un ente terzo che sovrasta la struttura.
Il 3 gennaio 2009 è stato creato il primo blocco di Bitcoin, denominato “Genesis Block”. In quell’occasione sono stati creati 50 Bitcoin e a oggi sono rimasti accreditati e non sono stati più toccati. Il 22 maggio 2010 c’è stata invece la prima transazione tra terzi utilizzando questo sistema: sono state acquistate un paio di pizze “Papa Joe’s” per un controvalore di dieci mila Bitcoin. Sempre nel 2010, esattamente nel mese di febbraio, sono stati aperti i primi exchange per la commercializzazione di Bitcoin.
La nascita di Bitcoin non è molto chiara e potrebbe far pensare allo zampino sin dall’inizio dei poteri forti che come spesso accade pilotano i cambiamenti. Un indizio in tale direzione potrebbe venire per esempio dalla data di pubblicazione del cosiddetto white paper. Il documento costitutivo, infatti, è stato reso pubblico il 31 ottobre 2018. Tale data, comunemente associata alla festa di Halloween, ha in realtà una valenza esoterica non di poco conto.
Oltre Bitcoin
Bitcoin ha aperto una nuova strada e dal momento della sua creazione a ruota sono state create numerose altre monete con caratteristiche similari. In particolare negli ultimi mesi si parla della creazione, ormai prossima, di Libra ossia la criptomoneta di Facebook. Avere tutto senza uscire da Facebook: questo è il sogno proibito di Mark Zuckerberg il quale sarebbe al lavoro per creare una criptovaluta che consentirà agli utenti di trasferire denaro utilizzando le app di messaggistica WhatsApp e Messenger. «Credo che le persone debbano potersi scambiare denaro così facilmente come mandano una foto» ha dichiarato il padre di Facebook, entrando di fatto apertamente nel mondo delle criptovalute: un sogno che accarezzava sin dal 2014.
A differenza, però, delle più note Bitcoin ed Ethereum, questa criptovaluta dovrebbe essere ancorata al dollaro statunitense e a un paniere di monete reali per ridurre al minimo la volatilità. Il team sarebbe guidato da David Marcus, ex capo di PayPal e Facebook Messenger; il progetto dovrebbe vedere la luce nel 2020 e inizialmente in maniera sperimentale solo in India.
In un primo momento erano state invitate le più influenti multinazionali, ma dal progetto stranamente e senza troppe spiegazioni si sono già defilati i colossi mondiali dei pagamenti, da Mastercard a Visa, da PayPal a Stripe. Intanto i 21 membri rimasti, tra cui Uber, Lyft, Spotify, Vodafone e Iliad, hanno firmato lo statuto per la creazione della Libra Association.
La criptovaluta, infatti, sarà gestita da questa organizzazione indipendente e senza scopro di lucro con sede a Ginevra. Risulta già in prima battuta significativo il fatto che la sede sia proprio in Svizzera, nazione questa da sempre centrale nell’ambito del potere economico-finanziario imperante.
La nuova criptovaluta sarà usata principalmente per scambiare denaro e fare acquisti attraverso WhatsApp, Messenger e Instagram (che dovrebbero unificarsi proprio per strutturare al meglio il progetto), tutte piattaforme afferenti proprio a Mark Zuckerberg. La moneta proposta da Facebook dovrebbe avere un valore complessivo di 19 miliardi di dollari e una singola Libra dovrebbe valere 1,05 dollari.
Molto probabilmente la nuova moneta potrebbe essere utilizzata anche come una sorta di tessera fedeltà: gli utenti potrebbero ricevere piccoli compensi per la visione delle pubblicità e allo stesso tempo i negozi affiliati potrebbero essere ricompensati con la stessa moneta per avere più pubblicità.
In altre parole, la mossa della cordata capitanata da Facebook è astuta perché non entra nell’ambito del sistema bancario classico che sarebbe stato troppo limitante a causa delle numerose restrizioni, ma punta in una direzione nuova e poco regolamentata sfidando però in maniera decisa proprio i colossi bancari sul terreno delle loro attività più importanti ovvero i pagamenti e in particolare quelli online.
Il sogno proibito delle criptovalute dovrà dunque fare i conti con l’establishment della finanza ancorata di fatto ancora alle monete tradizionali: chi vincerà la nuova partita all’ombra del Nuovo Ordine Mondiale?
Come afferma John Mcafee, fondatore dell’omonimo colosso informatico: «Non puoi fermare cose come Bitcoin, sarà ovunque e il mondo dovrà riadattarsi. I governi del mondo dovranno riadattarsi».
Click! All’improvviso e senza nessun motivo internet non funziona più: in nessuna parte del mondo e su nessun palmo di mano, sfioramenti e click paralizzati.
Proviamo per un attimo a immaginare questa scena e cosa potrebbe succedere nella vita di ognuno di noi e soprattutto forse nella psiche: le nostre connessioni sospese e le nostre comunicazioni spezzate. Proprio questi due termini, connessioni e comunicazioni, sono diventati termini sempre più importanti, ma se ci pensiamo bene siamo abituati ad associarli a qualcosa di intangibile e impalpabile; invece in origine e non più tardi di venti anni fa la loro pronuncia rimandava a qualcosa di concreto: la connessione riguardava un legame fisco e tangibile, mentre la comunicazione presupponeva la presenza di due o più soggetti che interagivano.
Allora la domanda su cui riflettere è ardita ma necessaria: riusciremmo realmente ora a vivere senza internet e quindi senza l’utilizzo del web? Riusciremmo a vivere almeno per un’ora, non per un giorno, senza utilizzare i nostri pc e ancor di più senza sfiorare i nostri “cari”, soprattutto in senso economico, smartphone?
Mai nella storia dell’uomo il salto tecnologico evolutivo ha avuto effetti così marcati e importanti come negli ultimi anni tanto da introdurre nella vita quotidiana strumenti (pc, smartphone e oggetti intelligenti) divenuti indispensabili e imprescindibili. Tra l’altro in un lasso di tempo davvero breve. Forse abbiamo la memoria corta, proprio per le considerazioni fatte qui brevemente, ma in pieni anni Novanta internet iniziava appena la sua diffusione capillare ad appannaggio dei primi smanettoni e la telefonia di massa era ancora poco più che attaccata a chilometriche antenne estraibili da cellulari poco più grandi dei mattoni e più o meno anche dello stesso peso.
Il progenitore e precursore della rete Internet è considerato il progetto ARPANET, finanziato dalla Defence Advanced Research Projects Agency, un'agenzia dipendente dal Ministero della Difesa statunitense. La rete è stata fisicamente costruita nel 1969 collegando inizialmente quattro nodi.
L'Italia è stata il quarto paese europeo a connettersi in rete, grazie ai finanziamenti del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. La prima connessione è avvenuta dal Centro Nazionale Universitario di Calcolo Elettronico presso l'Università di Pisa.
La data di nascita del World Wide Web è invece comunemente indicata nel 6 agosto 1991, quando l'informatico inglese Tim Berners-Lee ha pubblicato il primo sito web. L'idea del World Wide Web era nata però due anni prima presso il CERN (Conseil Européen pour la Recherche Nucléaire) di Ginevra. Il ricercatore inglese fu colpito da come alcuni colleghi italiani usavano trasmettere informazioni tramite linea telefonica da un piano all'altro dell'istituto visualizzandole tramite video.
Nel bene e nel male internet e il web, termini spesso utilizzati con una erronea sovrapposizione di significati, hanno cambiato e stanno ancora cambiando la nostra vita.
Di questo ce ne siamo accorti in particolare anche in questo periodo difficile: come sempre la rete porta con sé e si presenta sempre con la caratteristica faccia di Giano. Da un lato l’importanza e la potenza proprio della rete per monitorare e scambiare informazioni sulla pandemia, ma allo stesso tempo dall’altra la diffusione inarrestabile di un’altra infezione, ossia quella delle fake news proprio sulla tematica del Coronavirus. Virus su virus. Giano bifronte che allunga lo sguardo anche alla fase due dell’emergenza: già si parla infatti dell’introduzione dell’app per controllare gli spostamenti delle persone positive e non solo, ma ovviamente il rovescio della medaglia è l’eventuale e inevitabile erosione della privacy.
Ecco perché dunque oggi, più che in passato, la rete diventa sempre più appesa a un filo (per restare nella più stretta terminologia informatica) e i confini del web diventano sempre più labili.
«La tv è unidirezionale, mentre il web ti consente una forma di partecipazione assolutamente inedita, ti consente di entrare in contatto con tutti, partecipi alle discussioni anche con il governo e questo non è mai accaduto prima. É solo l’inizio di ulteriori cambiamenti perché man mano Internet diventa un’esperienza sempre più personale». Che cosa sta diventando realmente il web? La considerazione fatta da Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, pone l’accento proprio sulla direzione evolutiva futura della rete.
Eppure il web, quello che conosciamo e nel quale navighiamo tutti i giorni, è enorme, sconfinato ma piccolo. Non è un errore: il web che conosciamo e che possiamo navigare utilizzando i motori di ricerca non è piccolo, è estremamente piccolo. La rete viene percepita come sconfinata, ma è un recinto stretto e sorvegliato, dove lasciamo una enorme quantità di tracce, ma soprattutto i nostri dati personali. Si parla approssimativamente di circa il 6% del web complessivo. L’altro 94% dove si torva? La parte più consistente del web è rappresentata dal Deep Web e dal Dark Web o comunque da una zona grigia mista e indistinguibile che potremmo ribattezzare Deerk Web.
Quando si parla della struttura complessiva del web spesso si fa riferimento alla figura dell’iceberg per spiegare e dimostrare essenzialmente due aspetti: da un lato che la parte in chiaro e accessibile è infinitamente più piccola rispetto al web totale e dall’altro che lo spazio più grande e sconfinato è nascosto e sotterraneo. La similitudine è emblematica e significativa: basti pensare che tecnicamente l’iceberg è una montagna di ghiaccio staccata e galleggiante nel mare.
Riusciamo per un attimo a immaginare la nostra vita senza Internet? Forse, eppure questa invenzione solo pochi decenni fa era completamente estranea alla nostra quotidianità. Si può iniziare a parlare di un fallimento di Internet? Rispondere a queste domande è un esercizio difficile, stilistico e forse in controtendenza, ma sta diventando forse sempre più necessario.
Il fallimento di Internet
Sappiamo o comunque dovremmo prendere consapevolezza del fatto che la rete sta diventando lo strumento principale che permette di tracciare tutte le nostre attività online. Il termine “sorvegliare” etimologicamente fa riferimento al francese “surveiller” ed è composto da “sur” e “veiller” ossia, volendo tradurre alla lettera, vegliare sopra. È in sostanza quello che avviene nel web che tutti conosciamo. Se la sorveglianza dunque fa riferimento all’attività incessante del Grande Fratello, esisterebbe però anche una “sottoveglianza” che è invece l’attività svolta proprio nella parte sottostante dell’iceberg al quale si faceva riferimento.
La rete è ormai pervasiva e occupa un ruolo importante in ogni aspetto della nostra esistenza. È certamente così per gli utenti, ma Internet sta diventando sempre più soprattutto uno strumento di potere e chi dunque detiene le infrastrutture e gestisce i contenuti ha tra le mani un osservatorio privilegiato a livello economico, politico e sociale, utile poi anche per studiare e influenzare i possibili futuri scenari geo-politici. Detenere la struttura fisica della rete comporta un grande potere, ma avere la capacità di influenzare e gestire anche i contenuti lo è ancora di più.
La rete è sacra e per alcuni versi intoccabile, utilissima e maledetta. Utilissima perché ci rende tutto facile e fruibile a portata di indice con i nostri click frenetici e gli sfioramenti amorevoli dei nostri touchscreen. Pertanto la rete è intoccabile. Ma c’è il rovescio della medaglia: nonostante questo si può iniziare a parlare del fallimento di Internet? La rete è dunque anche maledetta, non solo in merito alla privacy erosa sistematicamente dal Grande Fratello, ma anche per il tempo che “perdiamo” dispersi nella rete stessa. Diceva Steve Jobs “Se il servizio è gratis, il prodotto sei tu”.
Esiste un muro trasparente e la nostra vita si divide ormai tra due dimensioni: online e offline ma il problema è che queste diventano sempre più sfumate e finiamo per restare costantemente onlife. Per non parlare poi della perdita della percezione dei rapporti umani “reali”. La rete è una sorta di “comfort zone”: si vive senza rischi e si possono scegliere le persone con le quali relazionarsi. Online, a decidere su tutto, è sempre e solo la velocità del nostro indice.
Come è facile intuire, però, il controllo delle informazioni propinate attraverso i vari motori di ricerca è un’arma potentissima che può influenzare i navigatori, in prima battuta per esempio per l’indicizzazione e di conseguenza il posizionamento della pagina dove è contenuta l’informazione che cerchiamo. Infatti è provato che i navigatori nella maggior parte dei casi visualizzano solo i risultati della prima pagina della ricerca, pochi si spingono a visionare anche la seconda e pochissimi arrivano oltre la quinta.
Parlando nello specifico dei motori di ricerca è importante precisare che questi colossi hanno nelle mani una enorme quantità di informazioni (continua linfa vitale per il cosiddetto sistema Big Data) che opportunamente filtrata e organizzata permette di fare analisi sempre più approfondite in ambito sociale, economico e politico. Questi dati possono dunque essere utilizzati a scopo commerciale ma anche e soprattutto “politico”, ecco perché esiste sempre più un legame forte, ma che si tende a celare, tra i motori di ricerca e le agenzie governative soprattutto americane che sempre più spesso anche in maniera forzata e non trasparente pretendono l’accesso ai server dove sono contenuti i dati delle ricerche effettuate dagli utenti; questo soprattutto per analizzare macro scenari di riferimento per il futuro e mettere in campo azioni politiche mirate.
Se, come abbiamo visto, la rete soprattutto negli ultimi anni soffre una “crisi” in primo luogo forse d’identità, quali sono allora i cambiamenti principali che si stanno sviluppando? La rete come siamo abituati a conoscerla, ossia quella in chiaro e fruibile dalla maggior parte degli utenti, può essere definita come “Internet generalista”. I cambiamenti in corso stanno portando progressivamente alla creazione di alcuni comparti con caratteristiche omogenee:
Il grande interrogativo rispetto a questi cambiamenti riguarda la loro valenza e soprattutto il loro impatto. Si tratta di un’evoluzione della rete tradizionale o di appendici collaterali? Una rivoluzione o un’involuzione? Forse la risposta a questi interrogativi potrà venire solo con il tempo e con il consolidamento di alcuni processi in atto.
Riflettendo sulle tre direttrici individuate possiamo notare che realmente nel prossimo futuro la rete avvolgerà con i suoi contenuti tutti i singoli aspetti della nostra vita: gli oggetti, i beni immateriali e i servizi, ma addirittura anche il corpo umano.
Forse Matrix non sarà solo più il titolo di un film ma la nostra realtà a quel punto non più solo virtuale.
Il Deep Web
La rete stessa ha creato e sta sviluppando i propri anticorpi, creando spazi nascosti e separati dove si cerca di sovvertire la logica del web tradizionale. Paradossalmente la privacy diventa un aspetto importante proprio perché nel web in chiaro, come abbiamo visto, è uno dei punti deboli più rilevanti. Perciò nella parte nascosta del web per poter usufruire dei suoi contenuti si utilizzano applicativi, come per esempio il programma Tor, che permettono di rendere anonima la navigazione; questo ovviamente in nome di una maggiore tutela della privacy ma anche per sfruttare la rete per scopi poco leciti. Dall’altro lato e contestualmente si è creato, quasi inconsapevolmente, un altro sistema economico retto su monete digitali e virtuali, come per esempio Bitcoin.
Questa parte del web, come abbiamo visto, è la parte più estesa ma anche quella sommersa.
È possibile fare una classificazione tassonomica cercando di suddividere la rete in vari livelli dove vengono accomunati i contenuti che presentano le medesime caratteristiche:
Nel Deerk Web, ma in particolare nel Deep Web, ci sono, però, anche alcuni aspetti positivi; per esempio con stupore potremmo scoprire che qui si annida la maggior parte della cultura scientifica della rete, ma anche gli attivisti di ogni forma e specie, da quelli informatici a quelli politici e religiosi, che trovano proprio in questa parte del web un conclave riservato e ristretto per confrontarsi e il più delle volte far scaturire nuove proposte. Lo stesso Deep Web di frequente è utilizzato dai governi e dai servizi di intelligence per sondare i pericoli internazionali per esempio in funzione antiterroristica e preventiva; ma in questi contesti sono attivi anche i centri di ricerca delle multinazionali per catturare alcune tendenze in anteprima. Esistono poi interi mercati dell’informazione dove è possibile rintracciare notizie riservate. In questa porzione del web, inoltre, si sperimentano e si anticipano metodi innovativi di transazioni, azioni di marketing e di distribuzione del valore che poi gradualmente vengono diffuse e diventano di pubblico dominio.
Il Dark Web
Il Dark Web, invece, è la parte ancora più profonda e buia del Deep Web e si caratterizza sia per la modalità riservata e protetta dell’accesso sia per quanto riguarda la tipologia dei contenuti.
Si può vendere e acquistare di tutto, affittare un hacker, contattare attivisti, visitare biblioteche pirata, ottenere servizi vari di anonimato, trovare siti dei media per ricevere soffiate, ottenere e utilizzare dati personali altrui rubati precedentemente. Se queste potrebbero sembrano attività “tranquille” è possibile segnalarne altre ben più pericolose: outlaw market (mercati neri), contrabbando di sigarette, negozi che vendono droghe, armi, lettori di carte magnetiche, sistemi di lavaggio e riciclaggio di cryptomonete, siti che spiegano come intrufolarsi in edifici e scuole, smercio di denaro e documenti falsi, siti di propaganda e di organizzazioni terroristiche, siti pedopornografici, webcam private dove vengono riprese sevizie sugli animali o sugli esseri umani dietro pagamento comunque di somme molto elevate e addirittura si può assoldare un killer.
Generalmente le merci e servizi si pagano con le cryptomonete, come per esempio Bitcoin.
Le criptovalute
Le nuove forme di moneta digitale rappresentano una novità rilevante non solo nella terra di confine e sovrapposizione dell’economia con il mondo ipertecnologico, avendo trovato terreno fertile nel Deerk Web, ma di certo si stanno diffondendo rapidamente, invadendo di fatto piano piano anche la vita reale.
Una criptovaluta è fondamentalmente una rappresentazione digitale di valore basata sulla crittografia. L'etimologia del vocabolo deriva dalla fusione di "cryptography" (crittografia) e "currency" (valuta). Le criptovalute utilizzano tecnologie di tipo peer-to-peer (p2p) su reti i cui nodi risultano costituiti dai computer degli utenti, situati potenzialmente in tutto il globo. Su questi computer vengono eseguiti appositi programmi che svolgono funzioni di portamonete. Non c'è attualmente alcuna autorità centrale che le controlla. Le transazioni e il rilascio avvengono collettivamente in rete, pertanto non c'è una gestione centralizzata. Come è facile intuire questo rappresenta un elemento di rottura nell’ambito del sistema monetario tradizionale ed è allo stesso tempo il punto di forza e di debolezza dell’intero sistema. Il controllo decentralizzato, infatti, funziona attraverso una tecnologia di contabilità generalizzata, generalmente la cosiddetta Blockchain, che funge da database delle transazioni finanziarie pubbliche protette, ma che potenzialmente potrebbero essere soggette a possibili attacchi informatici.
La prima e più famosa tra queste nuove forme di monete è Bitcoin. Dal 2009 dopo l’avvento di questa moneta sono nate nel mondo tantissime altre criptovalute, subito ribattezzate altcoin (alternative coin, ovvero monete alternative a quella originale).
Alcuni stati, tra cui il Giappone, hanno addirittura riconosciuto Bitcoin come moneta a corso legale e dunque può essere usato legalmente al posto della valuta locale.
Insomma, come si può notare, dentro e oltre i confini del web c’è una jungla imperscrutabile, ma dalla quale forse si sta aprendo una strada che corre verso un futuro incerto e insondabile; come ha dichiarato il padre fondatore della rete Tim Berners-Lee: «Non suona ormai un poco datato un essere umano che naviga sul web?».