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Notizie ANSA

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A che cosa servono le comunità montane lucane N.97 05/11/2011

Sui cucuzzoli delle montagne lucane c’è un piccolo esercito di persone che attende il proprio destino. Sono, infatti, circa 300 i funzionari e oltre 4.200 gli operai coinvolti nelle lunghe e laboriose operazioni di liquidazione e risistemazione delle comunità montane lucane. Tali enti, soprattutto in Basilicata, sono stati i primi a cadere sotto la mannaia dei tagli imposti dall’austerity economica di questi ultimi anni. In particolare, si è cercato di rimodularle, sostituendole con le cosiddette “Comunità Locali”. Poi l’ennesimo dietrofront e la costituzione delle “Aree Programma”. La comunità montana è un ente di diritto pubblico istituito con la legge n. 1102 del 3 dicembre 1971. Secondo quanto stabilisce l'art. 27 del Testo Unico sugli Enti Locali (Decreto Legislativo 18 agosto 2000 n. 267) si tratta di un ente locale ad appartenenza obbligatoria, costituito tra comuni montani e pedemontani anche appartenenti a province diverse; la costituzione avviene con provvedimento del presidente della giunta regionale. Lo scopo è la valorizzazione delle zone montane con l'esercizio di funzioni proprie conferite, nonché con l'esercizio associato di funzioni comunali. Le comunità montane lucane originariamente erano: Alto Bradano e Vulture, Alto Basento, Medio Basento, Collina materana, Basso Sinni, Medio Agri-Sauro, Alto Sinni, Camastra Alto Sauro, Alto Agri, Val Sarmento, Lagonegrese, Melandro e Marmo Platano. A breve dovrebbero essere ridotte a sette, in seguito all’accorpamento delle quattordici preesistenti. Su 131 comuni lucani ben 113 facevano parte delle 14 comunità montane, per un totale di circa 430 mila abitanti. Intanto, si va avanti con le proroghe e dall’anno scorso gli stipendi dei dipendenti sono completamento a carico della regione. Tutto questo in attesa di ufficializzare le liquidazioni nelle quali sono impegnati i presidenti-commissari e attualmente i liquidatori. Questi ultimi, in particolare, percepiscono circa 2.600 euro lordi al mese. Per non parlare, invece, dei segretari: secondo la convenzione base, infatti, questa figura arriva a percepire anche fino a 150 mila euro l’anno. Solo per fare un esempio: la Comunità montana del Melandro fino all’anno scorso godeva di uno stanziamento finanziario di circa 25 mila euro per le missioni a Potenza, Napoli e Roma. Duemila euro al mese solo per i viaggi nella capitale per il lavoro istituzionale, di rappresentanza e burocratico. Per fare, poi, esattamente che cosa? Non è dato saperlo con precisione. Il dirigente dell’Ufficio Autonomie Locali della Regione, Pasquale Monea, nel corso dell’incontro con i commissari delle disciolte Comunità Montane ha precisato: “La costituzione delle Aree Programma rappresenta un’occasione unica per gli enti locali, in quanto strumento in grado di costituire un più ampio contenitore per la gestione associata dei servizi oltre che strumento in grado di offrire al territorio un’adeguata rappresentanza politica delle popolazioni interessate”. Dopo circa 35 anni, le Comunità Montane dovrebbero andare in pensione: superate dal tempo e bocciate nella loro natura organizzativa. I commissari liquidatori, da quasi due anni in regime di proroga, hanno il compito di chiudere le pratiche pregresse e presentare una relazione conclusiva alla giunta regionale. Questi enti impiegavano nel loro bilancio ben nove milioni di euro per pagare gli stipendi al personale dipendente e solo due milioni di euro per tutte le altre spese di funzionamento corrente. Atteso che l’articolo 20 del disegno di legge della finanziaria regionale ha già previsto che i dipendenti, in caso di soppressione, siano comunque assorbiti da altre amministrazioni (comuni o province) con la relativa spesa a carico della Regione Basilicata, lo spreco ammonterebbe soltanto a due milioni di euro annui. In buona sostanza, con la soppressione delle “Comunità Montane” e la mancata costituzione delle “Comunità Locali”, invece, la regione perderebbe tutte le risorse finanziarie. Insomma un carrozzone alimentato da denaro pubblico e, come nella “miglior” tradizione delle nostrane littorine, arranca tra i tornanti in salita delle comunità montane, ma non si può e non si deve fermare.

 

Pubblicato sul settimanale Il Resto  N.97 05/11/2011