Enigmi e magie della Porta Alchemica - Giugno 2018
“Nostro figlio, morto, vive, torna re dal fuoco e gode del matrimonio occulto. Se avrai fatto volare la terra al di sopra della tua testa con le sue penne tramuterai in pietra le acque dei torrenti. Il diametro della sfera, il tau del circolo, la croce del globo non giovano alle persone cieche. Quando nella tua casa neri corvi partoriranno bianche colombe, allora sarai chiamato sapiente. Chi sa bruciare con l'acqua e lavare col fuoco, fa della terra cielo e del cielo terra preziosa”.
Queste misteriose frasi non si trovano in un libro di testo ma in un libro di pietra con spiccate elementi della scienza alchemica; la cosa sorprendente è che queste strane e astruse epigrafi erano inglobate sullo stipite di una porta in una delle città più belle del mondo. Stiamo parlando di Roma: città eterna, affascinante e misteriosa. Ogni angolo trasuda di storia, di arte e di bellezza; ma la capitale italiana conserva e nasconde molto di più: angoli misteriosi e sorprendenti, fuori dalla vista e dalla portata del turismo di massa, oltre gli stereotipi didascalici dei percorsi consigliati nelle pagine patinate delle guide turistiche. Luoghi che non sono solo lo specchio permanente di una storia millenaria, quella scritta nei libri di storia, ma anche scrigni che custodiscono conoscenze nascoste e spesso con marcata valenza esoterica.
Uno tra questi, per esempio, è la Porta Alchemica, detta anche Porta Magica o Porta Ermetica o Porta dei Cieli. É situata nella campagna orientale di Roma sul colle Esquilino in prossimità dell'odierna piazza Vittorio Emanuele II. Si tratta di un vero trattato inciso nella pietra e intriso di simboli carichi di significati nascosti ed esoterici. Che cos’è effettivamente la Porta Alchemica, cosa rappresenta e perché è così importante dal punto divista esoterico? Per rispondere a queste domande bisogna necessariamente partire dalle origini e dal suo costruttore.
Le origini
La Porta Alchemica è la ricostruzione parziale della residenza di Massimiliano Savelli Palombara, marchese di Pietraforte, edificata tra il 1655 e il 1680; rappresenta l'unica delle cinque porte del palazzo gentilizio pervenuta fino ai giorni nostri. Un tempo questo manufatto era addossato al muro di cinta della villa che è stata abbattuta alla fine dell’Ottocento nell'ambito del piano di risistemazione della città, divenuta nel frattempo capitale del neonato Regno d'Italia. La sua posizione originale era dunque all'interno del giardino privato della villa e non sulla pubblica piazza come appare attualmente.
Per entrare pienamente nel cuore della storia della Porta Alchemica si deve partire necessariamente da un personaggio misterioso e allo stesso tempo affascinante: Massimiliano Savelli di Palombara. Nato a Roma il 14 dicembre 1614 in una famiglia nobile dell’epoca, ha ricoperto per ben due volte nel 1651 e nel 1677 la carica di conservatore presso il Campidoglio.
Un aspetto importante della sua vita riguarda la stretta amicizia con la regina Cristina di Svezia sin dal suo primo soggiorno romano nel 1655; la loro amicizia era profondamente legata alla passione comune per l'alchimia. Il marchese Palombara, infatti, presso la sua villa, aveva fatto realizzare un proprio laboratorio alchemico seminterrato, mentre la sovrana svedese ne aveva allestito uno a palazzo Riario (oggi Palazzo Corsini sulle pendici del colle Gianicolo e attualmente sede dell'Accademia Nazionale dei Lincei), dove gli esperimenti erano condotti sotto la direzione dell'alchimista bolognese Pietro Antonio Bandiera. Il rapporto di amicizia tra i due è stato documentato da una serie di poesie manoscritte, attualmente custodite nella Biblioteca Apostolica vaticana, che il Palombara ha dedicato e inviato alla regina di Svezia. Fu durante la frequentazione del salotto culturale della regina Cristina a Roma che il marchese ebbe modo di conoscere personaggi della cultura dell'epoca e in particolare molti alchimisti e scienziati.
Tra le altre cose era anche appassionato di etimologia e dei giochi di parole; questi studi erano funzionali alle prime fasi della ricerca alchemica. È proprio in questo strano incrocio di vite e di passioni che la storia assume le connotazioni sfumate tra mito e realtà.
Ai confini della leggenda
Le indicazioni scolpite dal marchese nella sua residenza fanno riferimento certamente alla sua passione per i testi antichi e molto probabilmente le stesse iscrizioni oltre ad avere una valenza alchemica potrebbero nascondere messaggi cifrati derivanti proprio dalla passione del nobile per i giochi di parole. Non è da escludere poi che egli praticasse personalmente, come abbiamo già accennato, esperimenti nei campi della metallurgia ma anche nell’ambito dello studio delle erbe officinali oltre che delle proprietà magiche delle pietre e dei minerali; si possono ritrovare, infatti, numerosi riferimenti ad alcuni passi letterari di Dioscoride e Plinio il Vecchio che egli stesso cita sovente all'interno dei propri scritti.
Il marchese Palombara nutriva, infatti, una passione anche per le lettere, tanto da dedicare alla sua amica Cristina di Svezia il suo poema rosicruciano “La Bugia” redatto nel 1656 e secondo una leggenda la stessa Porta Alchemica sarebbe stata edificata nel 1680 come celebrazione di una riuscita trasmutazione alchemica avvenuta proprio nel laboratorio della regina a Palazzo Riario.
Secondo un’altra leggenda riferita nel 1802 dall'erudito Francesco Girolamo Cancellieri, uno stibeum pellegrino (ossia una specie di stregone legato al trattamento dell’antimonio), si fermò nella villa per una notte. Costui, identificabile molto probabilmente con l'alchimista Francesco Giuseppe Borri, ha dimorato nei giardini della villa alla ricerca di una misteriosa erba capace di produrre l'oro; il mattino seguente è stato visto scomparire per sempre attraverso la porta, ma ha lasciato dietro di sé alcune pagliuzze d'oro frutto di una riuscita trasmutazione alchemica oltre che una misteriosa carta piena di enigmi e simboli magici che secondo alcuni studiosi potrebbero contenere il segreto della pietra filosofale.
È importante ricordare che la pietra filosofale sarebbe dotata di tre proprietà straordinarie: fornire un elisir di lunga vita in grado di conferire l'immortalità, costituendo la panacea universale per qualsiasi malattia; far acquisire l'onniscienza, ovvero la conoscenza assoluta del passato e del futuro, del bene e del male; la possibilità infine di trasmutare in oro i metalli vili.
Il marchese ha fatto incidere sulle cinque porte di villa Palombara e sui muri della magione il contenuto del manoscritto, mettendo in bella vista in particolare i simboli e gli enigmi nella speranza che un giorno qualcuno fosse riuscito a decifrarli. Forse l'enigmatica carta potrebbe riferirsi al misterioso manoscritto Voynich che faceva parte della collezione di testi alchemici appartenuti al re Rodolfo II di Boemia e ricevuti forse proprio da Cristina di Svezia. Il manoscritto Voynich è un misterioso codice illustrato risalente molto probabilmente al XV secolo e scritto con un sistema di scrittura che a tutt'oggi non è stato ancora decifrato. Il trattato contiene inoltre immagini di piante che non sono identificabili con alcun vegetale attualmente noto, mentre il linguaggio usato nel testo non appartiene ad alcun sistema alfabetico e linguistico conosciuto.
Una storia, dunque, fitta di misteri soprattutto se si passa all’analisi dei simboli incisi sulla porta.
I simboli e il loro significato
I simboli incisi sulla Porta Alchemica possono essere rintracciati nelle illustrazioni dei libri di alchimia e filosofia esoterica che circolavano verso la seconda metà del Seicento, periodo di realizzazione della stessa porta. In particolare, il disegno sul frontone rappresenta due triangoli sovrapposti molto simile al frontespizio del libro allegorico-alchemico di stampo rosacruciano “Aureum Seculum Redivivum” di Henricus Madatanus (pseudonimo di Adrian von Mynsicht). La dottrina dei Rosacroce copriva svariati campi scientifici e le loro pratiche erano basate sul concetto importante che solo gli adepti iniziati potevano avere accesso ai segreti di alcune conoscenze.
I due triangoli intersecati rappresentano il sigillo di Davide circoscritto in questo caso da un cerchio, con la punta superiore occupata da una croce collegata a un cerchio interno e la punta inferiore dell'esagramma occupata da un oculus: si tratta in altre parole dei simboli alchemici del sole e dell'oro. Fa riflettere a tal proposito un’epigrafe ormai scomparsa che recitava: “Accontentati (sile) del solo sale (cioè del sapere) e del sole (cioè della ragione)”.
Il triangolo con l'oculus invece è molto simile al simbolo analogo della piramide che compare sulle banconote statunitensi da un dollaro, tra l'altro accompagnato da una scritta in latino “Novus Ordo Seclorum” che richiama la scritta “Aureum Seculum Redivivum”. Tale simbologia è stata adottata anche dalla setta degli Illuminati di Baviera.
Sul frontone, inoltre, è riportata anche la scritta: “Tre son le cose mirabili: Dio e uomo, Madre e vergine, trino e uno”.
I simboli alchemici lungo gli stipiti della porta seguono la sequenza dei pianeti associati ai corrispondenti metalli: Saturno-piombo, Giove-stagno, Marte-ferro, Venere-rame, Luna-argento, Mercurio-mercurio. Tale sequenza è stata forse ripresa dal testo “Commentatio de Pharmaco Catholico” pubblicato nel “Chymica Vannus” del 1666. Ad ogni pianeta viene associato un motto ermetico, seguendo il percorso dal basso in alto a destra, per poi scendere dall'alto in basso a sinistra, secondo la direzione indicata dal motto in ebraico “Ruach Elohim” ossia il “soffio di Dio”.
Ai lati della porta sono presenti due statue che raffigurano la divinità egizia Bes. Questi spaventosi demoni nani erano considerati numi tutelari della casa e dell’infanzia. Nel Medio Regno il loro culto si era affermato in tutto l'Egitto ed erano considerate divinità contro il malocchio, le forze del male e tutelari anche della musica, della fertilità e del matrimonio. Nel mondo romano, inoltre, le loro immagini sono collegate al culto di Iside.
Sulla base della porta si trova la rappresentazione di una monade che simbolicamente fa riferimento all’Uno, ossia l’unità di base dell’essere che racchiude in sé ogni aspetto del mondo fisico e metafisico. Al di sotto di essa si legge una locuzione palindroma “Si Sedes Non Is” ossia “se siedi non vai” che al contrario si trasforma invece in “Si Non Sedes Is” ossia “se non siedi vai”. Forse uno dei tanti giochi di parole del marchese, ma sicuramente carichi di valenze esoteriche.
Ci sono poi le epigrafi ormai scomparse dal tenore sibillino. Una si trovava proprio sulla porta della villa e recitava così: “Oltrepassando la porta di questa villa, lo scopritore Giasone (cioè il pellegrino alchimista) ottiene vello di Medea (oro)”. Un’altra in particolare faceva riferimento a: “l'acqua con la quale i giardini sono annaffiati non è acqua dalla quale sono alimentati”. Forse, però, c’è una scritta che racchiude il senso di tutta questa storia e anche il significato più nascosto: “chi svela gli arcani della natura al potente (alla persona influente) cerca da se stesso la morte”.