Monte Croccia, la Stonehenge lucana - Novembre 2017
«Il sacro è tenace: un luogo sacro, un giorno consacrato, conserva la propria aura attraverso i mutamenti di società, di cultura, di religione». Con questa dichiarazione lo storico Jacques Le Goff ha cercato di definire il concetto di sacro in relazione alla storia e ai mutamenti dei contesti sociali, ponendo l’attenzione su un aspetto importante: la continuità e il mantenimento della forza della sacralità nel tempo. Il sacro ha, infatti, per essere tale la capacità di mantenere e manifestare la sua potenzialità attraverso il tempo. Queste peculiarità riguardano anche la sacralità di un posto che permane, si allunga e avvolge l’incedere del tempo.
È il caso, per esempio, anche del sito astro-archeologico di Monte Croccia nei pressi del comune lucano di Oliveto Lucano in provincia di Matera. Negli ultimi anni questo posto straordinario, sospeso nel tempo, perciò già per questo sacro ha attirato l’attenzione degli studiosi, tanto da essere ribattezzata la “Stonehenge lucana”; infatti recenti sopralluoghi in cima al monte hanno riscontrato e confermato la presenza di alcune pietre di enormi dimensioni adattate in epoche remote come porta solstiziale che permette al sole il 21 dicembre di incunearsi alla perfezione proprio nella fenditura dei due monoliti: solo ed esclusivamente in questa data carica di un particolare significato simbolico.
Monte Croccia: un luogo magico
Oliveto Lucano è un piccolo comune di soli 479 abitanti nella provincia di Matera nel cuore della Basilicata. È situato su una altura circondata da piantagioni di olivo all'interno del Parco naturale di Gallipoli Cognato nelle cosiddette Piccole Dolomiti Lucane. All’interno di questa zona si trova la Riserva Naturale Antropologica di Monte Croccia, un'area protetta istituita ufficialmente nel 1971. Nella zona è compresa anche un’area archeologica che copre una superficie di circa 60mila metri quadrati.
Un luogo magico dove il verde della vegetazione è il colore predominate e si espande a vista d’occhio anche oltre l’orizzonte; un luogo dove la natura incontaminata ha ancora il sopravvento sulla modernità e soprattutto sul tempo che scorre apparentemente senza essere imprigionato in una linea di continuità. Un luogo fuori dal tempo dove la natura si fonde e si confonde con la storia; un luogo, insomma, dove le parole testé ricordate di Le Goff riecheggiano e prendono vita: qui la natura è sacra e lo si avverte pienamente.
A testimonianza di questo bisogna ricordare per esempio che a Oliveto Lucano, come in altri centri dell'interno della Basilicata, si svolge la festa del Maggio, ossia un antico rito arboreo di origini pagane inserito nella festa religiosa di San Cipriano, protettore del piccolo paese lucano. Il “Maggio” è il fusto di un albero di cerro che viene abbattuto la prima domenica di agosto, sfrondato e trainato in paese il 10 agosto di ogni anno. In quello stesso giorno viene abbattuta anche una cima di agrifoglio che viene trasportata a spalle in paese. Così il ”Maggio” (lo sposo) e la “Cima” (la sposa) entrano in paese e insieme vengono innestati ed eretti nella piazza principale. Fondamentalmente un rito di fertilità e di buon auspicio per tutta la comunità e in particolare per le attività agricole. Questa tradizione antichissima è strettamente collegata da un lato all’unicità del posto, ma soprattutto può essere messa in relazione, attraverso il filo conduttore del concetto della sacralità della natura, proprio con i ruderi dell'area archeologica di Monte Croccia situati nei dintorni che confermerebbero la presenza dell’uomo già in epoche lontanissime. Sull’altura, infatti, sono ancora visibili i resti di un'antica città lucana sorta tra il VI ed il IV secolo a.C. dei quali si posso osservare ancora alcuni tratti di mura ad archi. La frequentazione umana però potrebbe essere più antica se si considera che sempre nei pressi di questo insediamento è presente un sito definito “Petre de la Mola”. Si tratta di un complesso costruito su un affioramento naturale di roccia calcarea che è stata modificata sovrapponendo una lastra alla spaccatura naturale della roccia per creare una galleria che permette di osservare il sole al tramonto il giorno del solstizio d’inverno. Solo quel giorno il sole appare dallo stesso punto di osservazione in una piccola fenditura artificiale a sinistra della galleria, dando l’avviso al fenomeno che si verificherà al tramonto.
Il complesso di Petre de la Mola
Come abbiamo visto la frequentazione umana del sito risale a un’età remota e in particolare può essere collegata alla vita civile e militare degli Enotri, ossia una tra le popolazioni più antiche che hanno popolato questa parte dell'Italia meridionale. Studi più recenti e approfonditi hanno portato alla conclusione che l’area dove ricade il sito megalitico è un luogo fortificato dove avrebbe potuto avere il suo potere di influenza un personaggio vissuto nella seconda metà del secolo IV a.C. e che ha rivestito il titolo di arconte o di basileus e meglio conosciuto anche con il nome di Nummelos. Inoltre, in un anfratto scavato nella roccia sono state rinvenute tracce di bivacchi e ossicini di animali risalenti all'età mesolitica (1.200 - 8.000 a.C.).
La scoperta più interessante, però, è più recente ed è stata avanzata da un gruppo di ricerca interdisciplinare composto da archeologi, geofisici, geologi ed astronomi che a partire dal 2008 e attraverso l’impiego delle più avanzate tecnologie attualmente in uso hanno rivelato che il complesso presenta allineamenti diretti con la posizione del sole al mezzogiorno e al tramonto del solstizio d’inverno e altri in corso di studio in occasione degli equinozi e al solstizio d’estate. Un calendario di pietra, dunque, antichissimo che testimonia l’elevato grado di conoscenza astronomica delle popolazioni che abitavano questo luogo.
Il complesso nello specifico è costituito da due fianchi nella roccia che potrebbero risultare anche da una crepa naturale dovuta all’assestamento geologico del terreno; nella parte superiore però è presente una sorta di cappello che risulta fatto quasi sicuramente da mano umano e che è determinate per l’allineamento solare. In particolare poi c’è un fenomeno strano su una roccia che presenta l’incisione di alcune linee: una deviazione netta di quello che è l’indicazione del nord dell’ago della bussola che sembra “impazzire” quando viene posizionato sulla pietra.
In Italia ci sono altri posti simili per esempio nella valle del Belice in Sicilia, a Trinitapoli in Puglia e sul Monte Stella nel Cilento. Fa riflettere in particolare il toponimo di quest’ultimo posto: si chiama "Preta ru Mulacchio" che nel dialetto cilentano significa “Pietra del Figlio Illegittimo” e per assonanza è molto simile rispetto a Petra del Mola di Monte Croccia.
Il solstizio d’inverno
Il termine “solstizio” deriva dal latino “solstitium”, ossia è una parola composta da sol- "Sole" e -sistere "fermarsi", perciò indica il fermarsi del sole; tecnicamente in astronomia rappresenta il momento in cui il sole raggiunge, nel suo moto apparente lungo l'eclittica, il punto di declinazione massima o minima. Questo significa che il solstizio di estate e di inverno rappresentano rispettivamente il giorno più lungo e più corto dell'anno.
Nel tardo impero romano, proprio riferendosi al solstizio d'inverno, si parlava di “Sol Invictus” (Sole invincibile) per celebrare il giorno in cui il sole smetteva di calare sull'orizzonte e la luce del giorno iniziava da quel momento a recuperare sulle ore di buio. Un evento questo che per le antiche popolazioni simboleggiava la vittoria della luce sulle tenebre e quindi un importante momento di rinascita e simbolicamente di rivincita del bene sul male. L’esigenza di segnalarlo, per ragioni rituali ma anche per scopi pratici legati soprattutto alle attività agricole, ha fatto sì che in epoca protostorica sorgessero veri e propri calendari astronomici di pietra, modellati secondo precisi orientamenti astronomici, tali cioè da segnalare con estrema precisione proprio i solstizi e gli equinozi.
I calendari di pietra italiani risalgono quasi tutti alla tarda età del Bronzo e sono stati costruiti con la stessa tecnica del complesso di Stonehenge in Gran Bretagna: sono costruiti e orientati osservando la posizione del sole nel giorno più corto (o più lungo) dell’anno e presentano i cosiddetti “punti di mira” con i quali è possibile avere una rappresentazione visiva del fenomeno astronomico.
Tutte queste caratteristiche le ritroviamo anche nel sito di Monte Croccia. Un elemento aggiuntivo particolare che resta ancora vivo nella memoria degli anziani del posto e che è strettamente collegato alla sacralità del posto e alla fenomenologia astronomica riguarda il fatto che a Oliveto Lucano, fino a non molti decenni fa, in prossimità della semina i contadini si recavano nell’area del megalite per prelevare una pietra o un po’ di terreno al fine di propiziare il raccolto o per auspicare la fertilità delle donne. A conferma di ciò sono presenti profondi bacini artificiali per la raccolta dell’acqua piovana e altri petroglifi sulle rocce circostanti che testimoniano ancora una volta il carattere sacro del luogo e molto probabilmente erano utilizzati nelle cerimonie che vi si svolgevano in epoca preistorica forse proprio in occasione del solstizio.
Nel punto preciso dove sono presenti le due grosse pietre di recente è stata trovata un’incisione a croce il cui centro e uno dei bracci hanno un’esatta indicazione azimutale rispetto al solstizio; altre postazioni simili sono presenti su almeno sei o sette rocce circostanti che potrebbero essere state artificialmente orientate con lo stesso azimut. Un numero così alto di queste incisioni di riferimento, pertanto, escluderebbe la casualità del fenomeno e rafforzerebbe la tesi che la zona ha e aveva una valenza astronomica importante.
Da tre mila anni, dunque, sono in molti ad attendere il solstizio d’inverno nelle Stonehenge d’Italia anche perché Petre de la Mola è stata inserito a pieno titolo nell'Atlante generale dei siti astronomici di Cambridge. Appuntamento, dunque, al prossimo 21 dicembre per tuffarsi pienamente in una dimensione sacra e suggestiva che si rinnova ogni anno da tempo immemorabile. Perché come diceva lo stesso Le Goff: «Io penso in definitiva che la storia sia la scienza del passato, a condizione di sapere che questo passato diventa oggetto della storia attraverso una ricostituzione incessantemente rimessa in causa».