La Rocchetta Mattei - Ottobre 2021
Ogni storia ha una fine e allora partiamo proprio da una di queste per parlare della morte di un uomo fuori dal tempo e forse oltre il tempo: «Diconsi stelle di XVI grandezza e tanto più lontane sono che la luce loro solo dopo XXIV secoli arriva a noi. Visibili furono esse coi telescopi Herschel. Ma chi narrerà delle stelle anche più remote: atomi percettibili solo colle più meravigliose lenti che la scienza possegga o trovi? Quale cifra rappresenterà tale distanza che solo correndo per milioni d'anni la luce alata valicherebbe? Uomini udite: oltre quelle spaziano ancora i confini dell'Universo!».
Questa enigmatica iscrizione è l’epitaffio di un sarcofago ospitato all’interno di un castello fiabesco nel bel mezzo dell’appennino emiliano.
Questo luogo incantato si chiama Rocchetta Mattei, in onore del suo costruttore ossia il conte Cesare Mattei; si tratta di un castello forse ora poco conosciuto, ma ben noto nei secoli scorsi.
Il maniero, infatti, ha ospitato illustri personaggi: sembra che siano arrivati sul posto, tra gli altri, Ludovico III di Baviera e lo zar Alessandro II. Nel 1925 è stato visitato in forma ufficiale dal Principe di Piemonte. Persino Dostoevskji ne fa menzione nel suo romanzo I fratelli Karamàzov quando fa raccontare al diavolo di essere riuscito a guarire da terribili reumatismi grazie a un libro e alle gocce miracolose proprio del conte Mattei.
Rocchetta Mattei è un luogo “magico” per diversi motivi e non solo perché si presenta alla vista dei visitatori come un labirinto di torri, scalinate, sale di ricevimento e camere private in un’affascinante quanto enigmatica fusione e integrazione di diversi stili architettonici che vanno dal medievale al rinascimentale, dal moresco a quello più spiccatamente Liberty soprattutto negli ambienti interni.
La domanda che ogni visitatore si pone è: a cosa serviva realmente questo posto?
Un luogo sospeso tra mito e realtà
Rocchetta Mattei è situata sull'appennino emiliano settentrionale a circa 400 metri sul livello del mare in località Savignano nel comune di Grizzana Morandi sulla strada statale Porrettana.
Dal 2005 l’apertura al pubblico è garantita da un’intesa tra la Fondazione Carisbo, il Comune di Grizzana Morandi, la Città metropolitana di Bologna e l’Unione Comuni Appennino Bolognese. La proprietà dell’immobile è, infatti, della Fondazione Carisbo che ha provveduto al recupero dell’edificio dopo anni di chiusura e abbandono.
Il conte Cesare Mattei la fece edificare sulle rovine di una antica costruzione risalente all’XIII secolo, conosciuta come la Rocca di Savignano. Il complesso medievale è appartenuto nel corso del tempo agli imperatori Federico il Barbarossa e Ottone IV ed è stato dominio della contessa Matilde di Canossa che vi ha tenuto come custode il suo vassallo Lanfranco da Savignano.
La rocca, pur persistendo sulla struttura storica originaria, è stata profondamente rimaneggiata e ampliata per volontà del conte e successivamente del suo figlio adottivo.
Tutta la struttura è immersa in un’atmosfera sospesa e fuori dal tempo che si mescolata a un senso di mistero e maestosità. Si entra così in una dimensione sensoriale particolare e unica dove tutto è rappresentazione e dove ogni elemento si fa simbolo.
Già all’ingresso si può notare un ippogrifo a guardia dell'entrata; attraverso la scala si passa poi in un cortile scavato nella roccia; proprio la costante e ricorrente mimetizzazione e convivenza nonché integrazione della natura con le costruzioni spesso arabeggianti è la cifra stilistico di questo posto.
Il catino monolite che occupa il centro del cortile proviene dalla parrocchiale di Verzuno ove serviva da fonte battesimale. Nell’ambiente successivo si possono notare due telamoni a guisa di cariatidi che sostengono lo stipite della porta. Queste due figure impersonificano rispettivamente un demone (a sinistra) in pietra rosa e un uomo in pietra più chiara (a destra), forse allusione al male e al bene e alla polarità negativa e positiva (come vedremo caratteristica fondamentale delle cure innovative studiate dal Conte). Possiamo notare la differenza tra le due figure: mentre una regge senza fatica il peso, tiene le gambe unite e indossa una veste lunga, l’altra figura, invece, ha le gambe incrociate ed è a piedi nudi, indossa una veste corta e ha gli occhi bene aperti e le orecchie tese.
Sullo stesso lato una porta conduce a una scaletta e poi al magnifico loggiato noto come Loggia Carolina in stile orientale. A tal proposito bisogna precisare che il conte faceva parte proprio della Loggia Carolina, nome in codice dell’appartenenza massonica milanese denominata “Fratelli Riuniti” fondata da Murat nel 1802.
La scala della torre conduce, attraverso un ponte levatoio, a una stanzetta con finestre piccole e dal soffitto a stalattiti che è stata la camera da letto del conte e nella quale sono ancora conservati i mobili originali e le pipe di sua proprietà. La scala poi conduce alla Sala Inglese nell'alto del torrione principale.
Ritornando nella Loggia Carolina troviamo la Camera Bianca e la Camera Turca. Dopo un breve tratto di roccia scoperta si accede al Cortile dei Leoni, riproduzione in scala di quello dell'Alhambra di Granada. A lato di questo cortile vi è l'ingresso a una specie di vasta cantoria che sovrasta l'interno della chiesa del castello. In un'arca rivestita di maioliche si trovano le spoglie proprio di Cesare Mattei. L'arca non riporta alcun nome, ma soltanto l'iscrizione: «Anima requiescat in manu dei» (l'anima riposa nelle mani di Dio) e l’epitaffio che abbiamo visto in apertura.
Ripassando dal cortile dei Leoni si entra invece nel Salone della Pace, così chiamato in omaggio alla fine vittoriosa della Grande Guerra e successivamente nella sala della musica e poi nella chiesa, imitazione della cattedrale di Cordova con il caratteristico soffitto a volte in bianco e nero. Qui c’è una sorpresa e ogni elemento architettonico non è quello che sembra, ma per scoprire il tutto è consigliabile una visita sul posto e prestare molta attenzione a ogni particolare.
Accanto alla chiesa si trova il Salone dei Novanta, così chiamato perché il conte avrebbe voluto tenervi un banchetto di vecchi nonagenari quando avrebbe raggiunto tale età. Morì però prima del completamento del salone che è stata terminata comunque dal figlio adottivo Mario Venturoli Mattei. In realtà, però, anche questa sala nasconde un significato esoterico ben preciso: probabilmente doveva essere adibita alla meditazione e al recupero delle energie poiché la sua forma esagonale rimanda al Sigillo di Salomone e quindi alla ricerca spiritualità mentre i dodici spicchi sul pavimento hanno una valenza simbolica e sacra; insomma una vera e propria sala con funzione di amuleto. Inoltre la forma a l’esagono della stanza misura circa dieci metri di lunghezza e circa sei di lato che in proporzione determinano il valore della sezione aurea. A Rocchetta Mattei tutto ha un senso compiuto.
Il castello non è solo uno sterile sfoggio estetico di stili e di architetture ma è fondamentalmente illusione: tutto non è quasi mai come sembra, ma soprattutto per capire la personalità del conte e per comprendere la vera essenza del posto bisogna regalarsi una visita lenta e meditata. Ogni particolare dell’interno come dell’esterno ha un significato che rimanda a simboli propri della scienza ermetica, dell’alchimia e molto vicini in generale alla cultura esoterica.
Degna di nota è certamente la cosiddetta Sala della Visione, sebbene attualmente non accessibile al pubblico. Così chiamata perché proprio qui il conte avrebbe avuto la visione per l’invenzione di una particolare e innovativa scienza medica.
Secondo alcuni studi la Rocchetta è stata creata secondo un disegno ben preciso: tutte le torri corrisponderebbero ai pianeti del sistema solare secondo la mappa copernicana. Il conte Mattei si sarebbe dunque rifatto a un concetto ermetico basilare ossia creare una relazione armonica tra macro e microcosmo. Questo avrebbe generato particolari energie, proprio in quel luogo, utili per moltiplicare gli effetti curativi e benefici dei suoi preparati medicali.
L’enigmatico conte Cesare Mattei
Cesare Mattei è nato a Bologna l’11 gennaio 1809 da Teresa Montignani e Luigi Mattei, proprietari di beni immobili e fondiari nelle zone di Bologna, Budrio e Comacchio. Sin dalla sua adolescenza è entrato in contatto con alcuni dei più importanti e significativi personaggi dell’epoca come Paolo Costa, Gioacchino Rossini e Marco Minghetti.
Già in giovane età ha conquistato prestigio e visibilità, infatti nel 1837 è stato uno dei fondatori della Cassa di Risparmio in Bologna e dieci anni dopo ha ricevuto il titolo di conte da papa Pio IX. Nello stesso periodo però è accaduto un evento che ha segnato in maniera incisiva la sua vita: la morte della madre, avvenuta nel 1845 a causa di un tumore al seno, dopo dieci anni di atroci sofferenze; proprio questo avvenimento lo ha provato duramente e lo ha spinto a studiare da autodidatta nuovi rimedi di medica naturale.
È stato nominato deputato al Consiglio di arruolamento della Guardia Civica Bolognese con il grado di tenente colonnello e Capo dello Stato Maggiore, carica che è stata abbandonata in quanto eletto, il 18 maggio del 1848, deputato al Parlamento di Roma. Ben presto, però, abbandonata la deludente esperienza politica, decise di lasciare Bologna e di ritirarsi nella tenuta di Vigorso di Budrio per dedicarsi completamente ai suoi studi.
Nel 1850 acquistò i terreni dove sorgevano le rovine del castello medievale e iniziò la costruzione della Rocchetta, dirigendone personalmente i lavori e vi si stabilì definitivamente nel 1859.
Per dedicarsi ai suoi medicamenti e al proseguimento dei lavori della dimora che presto divenne anche clinica affidò la gestione finanziaria delle sue attività al nipote Luigi il quale, però, causò una gravissima crisi economica all’insaputa del conte. Una volta scoperto l’inganno diseredò i familiari e affidò la ripresa economica al suo collaboratore Mario Venturoli che, in segno di riconoscenza, decise di adottare nel 1888.
Proprio in questi anni la Rocchetta divenne un centro importante e trovarono lavoro e benessere molte famiglie della zona. Il conte curava gratuitamente le persone indigenti ed era caritatevole con i poveri che si rivolgevano a lui per essere aiutati.
Morì il 3 aprile 1896 all’età di 87 anni e le spoglie, secondo le sue volontà testamentarie, trovano tuttora riposo nella cappella interna della Rocchetta.
Elettromeopatia: la nuova medicina
Cesare Mattei cercò una strada alternativa alla medicina classica elaborando una sintesi di varie pratiche mediche e paramediche già esistenti, tra cui la medicina cinese ma soprattutto le teorie di Samuel Hahnemann, ossia il fondatore dell’omeopatia. Dopo le prime sperimentazioni iniziò la produzione di alcuni particolari preparati esportandoli anche all’estero. Stabilì un deposito centrale a Bologna e nel 1884 arrivò ad avere ben 107 punti di distribuzione in tutto il mondo.
In seguito alla sua morte gli eredi continuarono la produzione e la distribuzione dei cosiddetti «Rimedi Mattei» fino al 1968 quando per vari motivi i laboratori sono stati chiusi. Oggi i rimedi originali non sono più in produzione, ma vengono prodotti preparati simili in alcuni stati come per esempio India, Pakistan e Germania.
Mattei credeva fortemente che per curare una persona fosse indispensabile riportare le cariche elettriche del suo corpo a una situazione di neutralità. Per farlo somministrava ai pazienti dei granuli medicati derivati da trentatré piante spontanee ed erbe officinali degli appennini che faceva interagire con cinque fluidi elettrificati in grado di ristabilire l’equilibrio tra la polarità positiva e quella negativa e ricondurre la parte dolente allo stato neutrale (concetto mutuato dalla medicina cinese).
Per i suoi preparati Mattei usava varie erbe medicinali, ma nei suoi scritti ha ribadito più volte che avrebbe potuto ottenere gli stessi risultati usando una qualsiasi essenza, perché non era tanto importante l’erba usata quanto il metodo di preparazione e il modo in cui "caricava i fluidi". Ad ogni modo non utilizzava erbe tossiche o velenose e neppure sali minerali (come mercurio, arsenico e piombo) come invece succede spesso nei preparati classici dell’omeopatia.
La posologia era molto complessa, con un’infinità di accorgimenti, di aggiustamenti e di modificazioni a seconda della malattia da curare e veniva descritta in precisi vademecum. Tutti i rimedi erano lavorati e formulati in maniera segreta. I granuli erano suddivisi in otto categorie sulla base del loro effetto: Antiscrofolosi, Anticancerosi, Antiangioitici, Febbrifughi, Pettorali, Anti linfatici, Vermifughi e Anti venerei. I liquidi o "fluidi elettrici", invece, erano suddivisi in base alla loro polarizzazione: Fluido Elettricità Rossa (++), Fluido Elettricità Azzurra (+), Fluido Elettricità Bianca (neutra), Fluido Elettricità Gialla (-), Fluido Elettricità Verde (- -). Questi colori hanno dato poi il nome anche ad alcune camere all’interno del castello.
I procedimenti esatti usati dallo scienziato rimangono tuttora sconosciuti dal momento che i suoi scritti sono andati perduti. Forse, però, il motivo è essenzialmente un altro: la chiara volontà dello stesso conte di non tramandare queste conoscenze per non farle cadere in mani sbagliate, infatti proprio per questo motivo aveva costruito un ingegnoso sistema con un ponte levatoio che permetteva l’accesso riservato alla sua camera privata.
Ritorniamo all’inizio e a quello strano epitaffio sulla tomba del conte: cosa voleva significare? Forse racchiudeva addirittura il senso dell’esistenza? Cosa intendeva “per stelle di XVI grandezza”?
Cesare Mattei scelse l’epitaffio per la sua lapide diversi anni prima della sua morte. Egli desiderava giungesse ai posteri come un messaggio di vita eterna e testimoniare l'esistenza di una coscienza infinita che risiede nel microcosmo di ognuno di noi come nel macrocosmo dell’universo. Perciò sulla lapide volle omettere nome, cognome, simbolo araldico, così come le date di nascita e morte. Questo come segno tangibile dell’infinito della sua vita, dell’esistenza di ognuno e della stessa Rocchetta Mattei.