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Chi erano i Catari - Maggio 2023 - Giuseppe Balena

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Chi erano i Catari - Maggio 2023

  1. Giorgio Baietti è un giornalista indipendente, laureato in lettere e in Sociologia e insegnante di filosofia e storia. Dal 1986 si occupa del mistero di Rennes le Chateau sul quale ha scritta vari saggi, due romanzi e un racconto. L’ultimo libro, uscito recentemente, è I Catari e il loro mistero nel quale analizza l’affascinante ricostruzione storica di una vicenda mai chiarita del tutto.

    Conosciamo da vicino la vicenda dei Catari attraverso le pagine del recente libro di Giorgio Baietti.

    Partiamo prima di tutto dal titolo del libro. Perché si tratta di un mistero?

    Mistero: una parola di sette lettere che vale un intero alfabeto di storia e emozioni. Così potrei iniziare a parlare dei Catari e del loro sogno che si è fatto realtà nella notte dei tempi in una zona dell’odierno sud della Francia (non come la intendiamo oggi ma Provenza, ossia una zona con una propria lingua, usi e costumi del tutto differenti da quelli francesi). La vita dei Catari era improntata alla ricerca quotidiana di quello che sarebbe avvenuto dopo la loro morte fisica quando lo spirito avrebbe raggiunto, finalmente, la beatitudine eterna; sarebbe ritornato a casa. Custodivano un grande segreto e un altrettanto grande tesoro che non era fatto di oro e pietre preziose ma che per loro valeva il sacrificio della vita terrena.

    Inquadriamo brevemente il periodo storico di riferimento. Chi erano dunque i Catari?

    Catari deriva dal greco katharoi, i “puri”; si tratta di un termine che usiamo per comodità ma, in realtà, i diretti interessati, non si chiamavano in questo modo, preferendo il termine generico di “Buoni uomini” e “Buone donne” oppure “Buoni cristiani”. Sono stati erroneamente identificati anche come Patarini, Bogomili e Albigesi; tutti nomi che sfioravano il loro credo ma non lo comprendevano del tutto. Usiamo, comunque, l’appellativo Cataro che, ad ogni modo, richiamando la purezza è perfettamente calzante per nominarli.

    I Catari erano i seguaci di una religione dualista, basata sul rifiuto dell’Antico Testamento e della materia. Credevano in due divinità; una vera e propria, il Dio dello spirito da loro amato e seguito e il Rex Mundi, ovvero il “re del mondo materiale”, emblema di tutto ciò che era tangibile e corruttibile, cioè i tipici beni terrestri e la ricchezza. A partire dal 1163 si comincia a parlare di loro per bocca dell’abate Ecberto di Sconau che li identifica con tale appellativo. Quattro anni dopo, nel 1167 si tenne il primo concilio a Saint-Félix-de-Caraman, nei dintorni di Tolosa, in cui si posero le basi per la chiesa catara alla presenza del Pope Niceta, alto rappresentante della chiesa Bogomila della Bulgaria da cui i Catari mutuarono diversi aspetti.

    Quali erano le basi teologiche e religiose di questo movimento?

    Essenzialmente credevano nel Vangelo e, in particolare, in quello di Giovanni. Come detto, rifiutavano l’Antico Testamento che, secondo il loro credo, non era stato dettato da Dio ma dal Rex Mundi, ossia la divinità preposta alla materia e, come tale, non degno di essere pregato e adorato. Solo lo spirito contava per i Catari e l’unico Dio in cui credevano era quello dei cieli, dell’immanente, dello Spirito puro.

    Parliamo di un aspetto particolare: l’importanza della donna nella cultura catara che sfocia anche, per esempio, nell’adorazione per Maria Maddalena.

    Sì, la donna aveva un ruolo di primissimo piano nell’universo cataro e non era raro trovare a capo di una comunità religiosa proprio una donna che poteva tranquillamente diventare “Perfetta”, ossia colei che ricevendo il sacramento supremo del Consolamentum morendo, naturalmente o col suicidio tramite Endura, saliva direttamente al cielo, diveniva un tutt’uno con il Dio dello spirito, la vera e unica divinità considerata tale e adorata.

    Ciò che è fondamentale sottolineare riguarda il ruolo femminile che era del tutto simile e uguale a quello maschile; uomo e donna potevano rivestire le medesime funzioni e affermare questo, nel dodicesimo secolo, è già di per sé qualcosa di enorme.

    Una piccola precisazione: sarà proprio una donna a manovrare la catapulta che ucciderà Simon de Montfort (il condottiero delle truppe del Papa che guidava la Crociata contro i Catari) sotto le mura della città di Tolosa.

    Quali erano le loro pratiche religiose? Avevano dei rituali particolari?

    Innanzitutto avevano alcune preghiere specifiche, prima fra tutte il Padre Nostro che era simile a quello dei cattolici ma aveva una piccola e significativa variante: al posto di “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”, loro recitavano “Dacci oggi il nostro pane sovrassustanziale”, ossia un “pane” di nutrimento per l’anima, l’unica cosa che interessava loro; il corpo fisico era del tutto trascurabile. Altra preghiera (nel mio libro vi è un’intera appendice scritta apposta per elencare le loro preghiere e invocazioni) molto significativa era il “Padre Santo” di cui trascrivo i primi passaggi: “Padre Santo, Dio legittimo degli Spiriti buoni che non hai mai ingannato, mentito né errato, né esitato per paura della morte a discendere nel Mondo del Dio straniero, perché noi non siamo del Mondo né il Mondo è nostro, concedi a noi di conoscere ciò che tu conosci e di amare ciò che tu ami”.

    Il loro credo più importante in assoluto era, come visto, il Consolamentum che si otteneva dopo un percorso di vita molto particolare e con l’accortezza di avere un rapporto minimo col mondo materiale e, ad esempio, con il consumo di carne e con la pratica dell’ascetismo e della castità. Una volta ottenuto questo sacramento ci si poteva tranquillamente suicidare per raggiungere il prima possibile il mondo spirituale e il vero Dio. Questo suicidio si chiamava Endura e si poteva ottenere in vari modi: con bagni bollenti e gelidi per avere una congestione polmonare oppure lasciandosi morire di fame, di sete e di freddo, ad esempio, in cima a una montagna (e le vette dei Pirenei rappresentavano la migliore soluzione) immergendosi nella neve e nel ghiaccio e aspettando la fine guardando il sole nascente.

    Qual è stato il rapporto con la Chiesa Cattolica?

    Bisogna subito precisare che i Catari non odiavano la Chiesa di Roma; non vi era alcun risentimento nei confronti del cattolicesimo e dei suoi esponenti, dal Papa all’ultimo dei sacerdoti. I Catari seguivano i propri dettami religiosi e il proprio stile di vita e non criticavano chi la pensava diversamente. Erano un esempio di rettitudine per la gente dei villaggi che, come si dice, “aveva gli occhi per vedere” e per giudicare. Purtroppo buona parte del clero locale del tempo era corrotto e non si prendevano i sacri voti, come avviene oggi per una precisa e motivata scelta esistenziale, ma si diveniva sacerdote, spesso, per avere un ruolo importante all’interno della comunità e godere di privilegi prettamente materiali. La gente dell’epoca confrontava questi due stili di vita e si sentiva attratta dai Catari e dal loro comportamento ineccepibile. La chiesa, proprio per queste scelte, comincia a nutrire un certo fastidio che aumenterà fino ad assumere un vero e proprio astio che papa Innocenzo III trasformerà a proprio uso in una terribile crociata.

    Perché furono perseguitati e trucidati? Quali potrebbero essere le ragioni più nascoste?

    La crociata era in aspettativa da alcuni anni e trova la causa scatenante in un omicidio ossia quello di Pierre di Castelnau (1170 – 1208), un frate cistercense divenuto poi legato straordinario di papa Innocenzo III e da questi inviato appositamente nelle “terre catare” con lo scopo di estirpare l’eresia o, almeno, dare un duro colpo a coloro che il pontefice definiva “l’immonda lebbra del sud”. Catelnau insieme a tre confratelli percorre in lungo e in largo la Linguadoca per portare a termine il suo compito, con il controllo di Domenico di Guzman, il futuro san Domenico. La tortura a cui sottopone molte persone catare o ritenute tali gli attira un odio sempre crescente e la mattina del 16 gennaio 1208 è ucciso (vi sono due versioni, o pugnalato o trafitto con una lancia) sulle rive del fiume Rodano. Responsabile è ritenuto il conte Raimondo VI di Tolosa, celebre protettore dei Catari e per questo la furia papale si abbatte su di loro. Il motivo scatenante è questo ma vi sono cause nascoste e sicuramente più importanti e che toccano, come sempre nelle guerre, l’aspetto economico. La Linguadoca era una terra ricca, sicuramente molto più ricca della Francia del nord e i principi di quelle terre non vedevano l’ora di mettere le mani su quelle ricchezze; la crociata religiosa diventa lo spunto perfetto per mettere in pratica i loro desideri materiali e per nulla spirituali. Un ultimo aspetto potrebbe riguardare il Santo Graal che, voci sempre più diffuse davano come oggetto posseduto dai Catari e, quindi, un ulteriore spinta a occupare le loro terre.

    Parliamo di Montségur.

    É un luogo bellissimo, denso di storia e di fascino; un nido d’aquila che svetta su un pane di roccia di 1250 metri di altitudine nel dipartimento dell’Ariège a una cinquantina di chilometri da Rennes le Chateau. La fortezza è stata costruita nel 1204 grazie a Raymond de Péreille, signore del luogo, proprio per dare rifugio ai Catari che fuggivano dall’inquisizione e sorge sulle rovine di un antico tempio la cui origine si perde nella notte dei tempi e che, sicuramente, all’origine era un tempio solare. Ancora oggi, infatti, al solstizio d’estate il sole attraversa interamente la struttura, da est a ovest, sfiorando la cima dell’altra montagna dei misteri, il Bugarach. L’assedio alla fortezza simbolica dei Catari (non l’ultima che sarà, invece, Queribus) ha inizio a aprile del 1243 e si conclude praticamente un anno dopo, il 16 marzo 1244. La notte del giorno precedente, 15 marzo, quattro Perfetti scendono con grande fatica da quei dirupi portando un oggetto, un “qualcosa” che non doveva finire nelle mani dei nemici. Messo in salvo il loro tesoro, qualunque cosa fosse, ci si poteva arrendere, il compito era concluso. All’alba del 16 marzo, duecentoventidue Catari scendono dalla montagna e rifiutano di abiurare la loro religione e, volontariamente, si gettano nell’immane rogo che è stato allestito lì alla base e che, da quel giorno, si chiamerà per sempre “Campo dei Cremati”. Dalle loro bocche ormai invase dal fumo e dalle fiamme non si levano maledizioni nei confronti degli aguzzini ma parole d’amore, l’ultimo messaggio di chi sa che tra poco avrà la beatitudine celeste : il vero motivo per vivere.

    Quali potrebbero essere le connessioni con la vicenda di Rennes-le-Chateau?

    Rennes le Chateau è al centro di un territorio chiamato tutt’oggi “Paese Cataro” e basta recarsi in quella stupenda regione del sud della Francia per constatarlo di persona; le carte turistiche contrassegnano in questo modo la zona che da Carcassonne scende verso i Pirenei, risalendo il corso del fiume Aude. Anche se Montségur, simbolo vivente del martirio dei Catari è in un altro dipartimento, l’Ariège, è proprio nei dintorni di Rennes le Chateau e i suoi villaggi attigui (Rennes les Bains, Couiza, Alet les Bains, Bugarach) che si respira nell’aria il loro ricordo indelebile. É come se ci fossero ancora, come se il loro credo e il loro insegnamento vibrassero nel vento che soffia, nell’acqua che scorre, nell’atmosfera che è impregnata di questo stile di vita che è stato volutamente annientato.

    Volendo restare con i piedi per terra e non dar retta alle sensazioni, basiamoci sulle esperienze dirette e posso garantire che in tutti gli anni che sono stato in quella zona (dal 1986) ho potuto constatare che per molta gente del luogo, il catarismo è ancora presente, è considerato come parte integrante del territorio ed è una religione che, seppur non praticata, è viva e pulsante. Un ricordo lontanissimo eppur così vicino.

    La vicenda di Rennes le Chateau e del suo parroco Bérenger Saunière non è direttamente collegata ai Catari ma vi sono, tra le svariate ipotesi sul favoloso tesoro, precisi riferimenti al Santo Graal (le prime lettere dei nomi dei santi le cui statue sono state collocate nella chiesa del villaggio da Saunière in persona darebbero una indicazione: Germana di Pibrac, Rocco, Antonio Abate, Antonio da Padova, Luca evangelista: G R A A L) e il favoloso oggetto materiale o spirituale che fosse, è strettamente collegato ai Catari e si ipotizza che sia quello che quattro Perfetti portano via da Montségur durante l’ultima Pasqua celebrata nella fortezza prima che capitolasse e tutti gli occupanti finissero volontariamente nell’immenso rogo nella vallata sottostante. Si pensa che uno dei luoghi in cui il misterioso e preziosissimo oggetto venne nascosto fu proprio Rennes le Chateau.

    Cosa rimane oggi del catarismo?

    Un ricordo, un sogno, un’idea. É una religione scomparsa ma che ha lasciato tracce invisibili ma altrettanto concrete la cui eco si può trovare in quella regione della Francia meridionale, nei corsi d’acqua, nelle rocce delle montagne, nel vento che soffia perenne su quelle cime e che sembra lasciare ancora oggi i loro sospiri e il loro messaggio. Basta recarsi in questa zona e chiudere gli occhi e si potrà vedere chiaramente.