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La terra cava - Ottobre 2015

”Discendi nel cratere dello Jokull di Sneffels che l'ombra dello Scartaris viene a lambire prima delle calende di luglio, viaggiatore ardito, e perverrai al centro della Terra”. Questo il messaggio che appariva nelle rune tradotte trovate nel manoscritto nel secondo capitolo del famoso libro di Jules Verne dal titolo “Viaggio al centro della terra”.

Un libro affascinante che per anni è stato tra le letture preferite di molti adolescenti. La curiosità dell’uomo per l’esplorazione delle viscere della terra si è sviluppata sin dagli albori della civiltà, sospesa a metà strada tra la leggenda e il mito.

Le origini

Il concetto che il sottosuolo potesse ospitare e proteggere la vita è collegato in maniera ancestrale con la comparsa dell’uomo sulla terra. In un tempo lontanissimo, infatti, gli esseri umani trovarono riparo nelle caverne; quella che inizialmente era una necessità nel corso del tempo ha acquisito una valenza prima antropologica e poi concettuale e religiosa. Il primordiale senso religioso, infatti, con una matrice comune a molte popolazioni, è stato senza dubbio legato alla dea terra, proprio perché questa assumeva il ruolo primordiale di divinità ed era considerata come una madre: con i suoi frutti assicurava il nutrimento e con i suoi anfratti garantiva la protezione proprio come il ventre materno.

Numerose sono le leggende e i miri che riguardano il sottosuolo della Terra: da Orfeo che andava a cercare l’anima di Euridice sotto la crosta terrestre, passando per la figura di Ulisse che officinava un sacrificio affinché le anime degli antichi risalissero in superficie a consigliarlo, fino ad arrivare al mito di Plutone che regnava nel fondo della Terra sugli spiriti dei morti.

Un dato certo, quindi, è la stretta connessione concettuale del sottosuolo della Terra con le forme di credenze religiose più o meno strutturate.

Con l’affermarsi dell’Ebraismo prima e poi del Cristianesimo la concezione divina della Terra assume un’eccezione con sfumature negative; l’affermazione del monoteismo, di fatto, metteva al bando le divinità legate al culto della Terra madre. La stessa figura di Lucifero, scagliato sulla Terra e relegato agli inferi, ribaltava una visione fino a quel momento abbastanza consolidata: il centro della Terra non era più un posto ospitale, ma diventava il regno del male, un posto oscuro; non a caso e anche per questo motivo Lucifero è considerato, tra le altre cose, il “portatore di luce”; considerato tale, tra l’altro, proprio perché dal buio dell’abisso terrestre cerca di portare la luce all’esterno. Con questi nuovi elementi l’impianto mitologico si arricchiva di un nuovo aspetto: Lucifero diventava il portatore di conoscenze segrete da tramandare a gruppi iniziatici in maniera sotterranea. Ecco da dove nasce, tra l’altro, la credenza più o meno reale della presenza di gruppi organizzati che vivono in quella che è riconosciuta come la “Terra cava”.

Di questa impostazione risente anche l’intera struttura dell’'inferno dantesco, immaginato come una serie di anelli, sempre più stretti, che si succedono in sequenza e formano un tronco di cono rovesciato; l'estremità più stretta si trova in corrispondenza del centro della terra ed è interamente occupata proprio da Lucifero.

I primi riferimenti scientifici

A partire, però, dal XVII secolo si svilupparono varie teorie, con il supporto anche scientifico, in base alle quali la Terra avrebbe una struttura cava al suo interno. In particolare Edmund Halley nell'opera “Philosophical Transactions of Royal Society of London” nel 1692 propose l'idea che la terra fosse formata da un guscio esterno spesso 800 km, con due altri gusci interni concentrici e un nocciolo interno. Ogni guscio avrebbe i propri poli magnetici e ruoterebbe a velocità differente. Suggerì, inoltre, anche che queste sfere interne potessero essere abitate.

Teoria questa confermata più tardi anche da John Cleves Symmes che avanzò l'ipotesi che la Terra fosse formata da un guscio cavo di 1.300 km di spessore, con due cavità di 2.300 km di diametro su entrambi i poli geografici. Oltre alla crosta esterna ci sarebbero quattro gusci interni, anch'essi con aperture ai poli. Symmes fu il primo addirittura a proporre al Congresso degli Stati Uniti una spedizione alla ricerca del foro che secondo lui sarebbe collocato al Polo Nord.

I riferimenti romanzati

Già nel 1788 con la pubblicazione del romanzo “Icosaméron” Giacomo Casanova raccontava, in una storia di quasi due mila pagine, le vicende di un fratello e una sorella che cadevano all'interno della terra, scoprendo così l'utopia sotterranea dei Mégamicri, una razza di nani multicolori ed ermafroditi, molto simili agli gnomi.

Anche Edgar Allan Poe usò l'idea della Terra cava per il suo romanzo “Storia di Arthur Gordon Pym” del 1838 e ne fece riferimento anche in “Manoscritto trovato in una bottiglia” e ne “L'incomparabile avventura di un certo Hans Pfaall”.

Il vero successo della teoria della Terra cava, però, si ebbe nel 1864 con il romanzo “Viaggio al centro della terra“ dello scrittore francese Jules Verne; questo è considerato il romanzo precursore del filone fantascientifico. Nel libro il cratere d’entrata era segnalato dall’ombra dello Snæffels il 22 giugno, il giorno solstizio d'estate. Come si può notare non è certamente un caso che l’antesignano della letteratura fantascientifica collochi la possibilità di accesso simbolicamente proprio in questo giorno particolare, ponendo così l’attenzione sul rapporto luce/ombra e sulla dualità superficie/profondità.

Nel 1871 sir Edward Bulwer-Lytton, scrittore politico ed esoterista, pubblicò un romanzo dal titolo “Vril, The Power of the Coming Race“, in cui sosteneva che all'interno della Terra si trovasse una razza di superuomini sopravvissuti a cataclismi mitologici. Il “Vril” era un'ipotetica forma di energia, sottoforma di fluido, che permetterebbe di avere poteri magici; il termine "Vril-ya" starebbe a indicare una razza semidivina in grado di curare qualsiasi malattia, animare un oggetto oppure distruggere, utilizzando speciali bastoni metallici di forma cilindrica dai quali confluiva questa particolare energia.

Le pubblicazioni sull’argomento continuarono per tutto il XIX secolo; degno di nota in questo periodo, per esempio, è il romanzo di John Uri Lloyd, farmacologo ed erborista, dal titolo “Etidorhpa”, dove si descriveva un viaggio immaginario fino al centro della terra a partire dalle caverne del Kentucky.

Nel corso della seconda metà del XX secolo, quando la teoria continuava a mantenere una discreta notorietà, furono pubblicati numerosi testi a carattere pseudoscientifico o fantastico, sull'onda dell'ascesa della letteratura del mistero.

La terra cava

Questo fiorire letterario dimostra il grande interesse che da sempre si è sviluppato per l’argomento. La teoria nel corso dei secoli si è sedimentata intorno a una credenza fondamentale: la Terra al suo interno sarebbe cava, cioè vuota e sospesa nell’incavo; al suo interno, inoltre, ci sarebbe un sole, fonte di vita e di energia.

Diversi popoli, con culture differenti, presentano una matrice comune di miti collegati alla Terra cava. In India, per esempio, vi era un’antica credenza, ancora viva nel presente, che narra di una stirpe di esseri rettiliani (uomini serpente) i quali vivrebbero nelle città sotterranee di Patala e Bhogavati. Secondo la leggenda tale popolo sarebbe in guerra con il regno di Agharti. In Tibet, invece, un grande santuario mistico denominato “Patala” si troverebbe in cima a un antico sistema di caverne e tunnel che si estenderebbe lungo tutto il continente asiatico e forse anche oltre. Le popolazioni del Sud America, infine, la individuano con il famoso continente dorato dell’Eldorado. Insomma, in tutto il mondo la Terra cava ha un sistema di credenze comuni che di volta in volta presentano varie denominazioni: il leggendario paradiso di Shambalà, la Terra delle Acque Candide, la Terra degli Spiriti Raggianti, la Terra del Fuoco Vivente, la Terra degli Dei Viventi. Gli indù la chiamavano Aryavartha, ossia la terra d’origine dei Veda; i Cinesi, invece, parlavano di Hsi Tien, il Paradiso Occidentale; la setta cristiana russa dei vecchi credenti la chiamava Belovodye e i Kirghizi la nominavano, invece, Janaidar.

Secondo queste leggende, comuni a molti popoli, originariamente c’erano due grandi continenti, Atlantide e Mu che, per misteriose ragioni, furono distrutte da un grande cataclisma. I superstiti si sarebbero divisi in diversi gruppi. Parte di questi avrebbero abitato le terre dell’Asia, dell’Europa e delle Americhe; gli altri, invece, gli “eletti" sarebbero scesi all’interno del pianeta e avrebbero dato vita a una civiltà nascosta e divisa in due grandi continenti: Eldorado e Agarthi. Il primo accessibile dal Polo Sud e il secondo dal Polo Nord.

Il mito di Agarthi

Agarthi, detto anche Agartha, significa ”inaccessibile" e fu descritta per la prima volta nelle opere dello scrittore Willis George Emerson. Questo la individuava come una civiltà nascosta all’interno dell’Asia centrale, separata da una cintura di montagne e suddivisa in otto parti e in settantasei regni. Kalapa sarebbe la capitale dove ha sede il palazzo del sacerdote-re.

Una delle testimonianze più incredibili su questo regno lo si può leggere nel libro del 1908 dal titolo “Il Dio fumoso” di Willis George Emerson che raccontava l’autobiografia di un marinaio norvegese chiamato Olaf Jansen; questo avrebbe navigato all'interno della Terra attraverso un'apertura presso il Polo Nord. Per due anni avrebbe vissuto con gli abitanti di questo regno illuminato da un "sole centrale fumoso".

Il mito di Agharti è stato rivalutato anche da Madame Blavatsky, la veggente fondatrice della Società Teosofica Internazionale; l’esoterista sosteneva di essere in contatto telepatico con gli antichi “Maestri della Fratellanza Bianca”, ovvero con i sopravvissuti di una razza eletta vissuta tra il Tibet e il Nepal i quali si sarebbero rifugiati nelle viscere della Terra in seguito a una spaventosa catastrofe. Dalle dottrine della Blavatsky prese ispirazione, tra gli altri, anche la Società Thule, ossia l’emanazione esoterica del partito nazista di Hitler. Sembra proprio, infatti, che il Fuhrer fosse così convinto della veridicità delle leggende in merito alla Terra cava al punto da finanziare una spedizione di ricerca in Antartide, la quale si concluse, perlomeno ufficialmente, con un insuccesso. Della missione parlò addirittura l'ammiraglio Donitz durante il processo di Norimberga.

Esisterebbero vari luoghi riconducibili ad Agharti: Atlantide, il Regno di Prete Gianni, il castello di Camelot, l’isola di Avalon, il Montsalvat dei miti di Re Artù, l’omerica isola di Ogigia, la mitica isola di Thule, il monte Meru, il monte Olimpo e il monte Qafal. Alcuni sono dei luoghi reali, altri solo immaginari. In particolare, inoltre, esisterebbero diversi ingressi al regno di Agharti:

Kentucky Mommoth Cave, USA

Mount Shasta, California, USA

Manaus, Brasile

Mato Grosso, Brasile

Cascate di Iguazù, sul confine tra Brasile e Argentina

Monte Epomeo, in Italia nell’isola di Ischia.

Montagne himalayane, Tibet. L'ingresso alla città sotterranea di Shonshe sarebbe custodito dai monaci indù.

Mongolia. La città sotterranea di Shingwa si troverebbe sotto il confine tra Mongolia e Cina

Rama, India

Piramide di Giza, Egitto

Miniere di Re Salomone

Polo Nord e Polo Sud

Il re del mondo

Nel 1924 fu pubblicato a Parigi un singolare libro di Ferdinand Ossendowski dal titolo “Bestie, uomini e dèi”. Vi si raccontava un avventuroso viaggio nell’Asia centrale, nel corso del quale l’autore affermava di essere venuto in contatto con un centro iniziatico misterioso situato nel sottosuolo e le cui ramificazioni si estenderebbero ovunque. Il capo supremo di questo centro era conosciuto con l’appellativo di “Re del Mondo”. Questo studio fu riprese poi nel 1927 dall’esoterista francese Renè Guènon nel suo libro dal titolo proprio “Il Re del Mondo”.

Il centro del regno sotterraneo sorgerebbe sul principale incrocio delle correnti terrestri e sarebbe esso stesso a generare questi fiumi di energia che percorrono tutto il pianeta e si diffondono in superficie. Tale energia esisterebbe simultaneamente sia sul piano fisico sia su quello spirituale e solo pochissimi  avrebbero la possibilità di beneficiarne. L’organizzazione della città sarebbe gestita da tre figure: Brahmatma, il Mahatma (colui che conosce il futuro) e il Mahanga (colui che procura le cause affinché gli avvenimenti si verifichino). Questa triade comanderebbe il clero militarizzato, ossia i templari confederati dell’Agharti; il livello più elevato sarebbe il cosiddetto “consiglio circolare” formato da dodici iniziati. Solo di rado il sovrano esce dal suo regno; comparirà davanti a tutti soltanto al momento opportuno, conducendo una battaglia degli uomini giusti contro i cattivi.

Ad Agharti si dice che sia nata la religione unica, primordiale e perfetta della cosiddetta “Età dell’Oro”, in grado per mezzo di pratiche mistiche di porre l’uomo in totale comunione con Dio.

Il Re del Mondo, detto anche Manu, non sarebbe soltanto un capo religioso, ma reggerebbe anche i destini del pianeta. Una figura enigmatica che ha attirato addirittura l’attenzione del noto cantautore Franco Battiato che ha riversato il suo interesse nei confronti delle tematiche già trattate da Guènon nella canzone intitolata proprio “Il re del mondo” contenuta nel disco “L'era del cinghiale bianco”; sibillini suonano i versi della sua canzone: Un giorno in cielo, fuochi di Bengala...  Ia Pace ritornò ma il Re del Mondo, ci tiene prigioniero il Cuore”.

 

 

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