Giornalista iscritto all'Albo Nazionale dal 2012
Attualmente redattore del mensile Mistero
rivista dell'omonima trasmissione televisiva di Italia Uno
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«C'era una volta... – Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. C'era una volta un pezzo di legno. Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d'inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze».
Inizia così uno di più celebri romanzi di formazione della letteratura italiana e forse mondiale, con all’attivo oltre 240 traduzioni. Già dalle prime battute si capisce che non è una favola “classica”: non ci sono né principi né castelli incantati, ma il protagonista è un umile pezzo di legno in attesa di diventare un bambino in carne e ossa.
La storia di Pinocchio ha fatto compagnia all’adolescenza di molte generazioni: un giusto e misurato connubio tra letteratura pedagogica e quella dell’infanzia dove però il protagonista è un perdente e tutto è imbastito con una lieve ma costante velatura di malinconica disillusione. Sono, forse, proprio questi gli ingredienti che nel tempo ne hanno decretato la diffusione e il successo.
Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi è il racconto più famoso della tradizione culturale italiana e dopo la Bibbia è la storia più diffusa al mondo con all’attivo molteplici traduzioni, riproduzioni in film, cartoni animati e trasposizioni teatrali; la famosa storia del burattino così ha raggiunto milioni di persone nel corso di diversi lustri. Ancora oggi è nelle classifiche dei libri più venduti. Questo popolarissimo testo sembra, però, racchiudere molti misteri, diversi simbolismi e significati nascosti spesso sfuggenti a una semplice lettura “profana” e superficiale. Per addentrarci nel mondo inesplorato di Pinocchio bisogna, però, prima conoscere più da vicino il suo autore.
Un enigmatico autore
Carlo Collodi è lo pseudonimo di Carlo Lorenzini, scrittore e giornalista fiorentino vissuto a cavallo del XIX secolo. Sua madre Angiolina era figlia del fattore dei marchesi Garzoni Venturi e amministrava il podere di Veneri, alle porte del paese di Collodi, il cui nome ha ispirato lo pseudonimo che ha reso famoso lo scrittore in tutto il mondo.
Si è spesso parlato dell’affiliazione di Collodi alla massoneria. Sebbene, in effetti, negli ambienti massonici si parla da sempre e con insistenza di tale presunta appartenenza dell'illustre scrittore, tuttavia, non vi sono prove certe. La tesi dell'affiliazione di Collodi si fonderebbe su un'errata comprensione di un saluto in calce a una sua lettera: la contrazione ''suo affo'' è stata letta come ''fratello'' anziché ''affezionato''.
La storia narrata da Collodi, comunque, sembra disseminata di alcuni elementi che farebbero pensare alla vicinanza dell’autore proprio ad ambienti massonici ma anche a una certa confidenza con le tematiche esoteriche. Per esempio, quando il burattino arriva finalmente dove dovrebbe essere la casa della Fata, vi trova soltanto una pietra di marmo con incise queste parole: “Qui giace la bambina dai capelli turchini morta di dolore per essere stata abbandonata dal suo fratellino Pinocchio”. Allo stesso modo anche gli altri burattini di Mangiafuoco riferendosi a Pinocchio lo chiamano “fratello”. Questi appellativi non sembrano inseriti a caso ma potrebbero essere chiari riferimenti proprio ai fratelli massonici e alla vicinanza dell’autore con questi ambienti. Sta di fatto, comunque, che il racconto di Collodi non può essere considerato tout court semplicemente una piacevole lettura per adolescenti, ma potrebbe nascondere ben altro.
Uno romanzo non solo per bambini
Il titolo completo del libro è Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino. Prima di diventare il best seller che tutti conosciamo era un semplice romanzo a puntate, pubblicato nel 1881 sul Giornale per bambini edito da Ferdinando Martini. Il finale era però completamente diverso: Pinocchio, infatti, non diventava un bambino in carne e ossa, ma moriva impiccato a una quercia per mano del Gatto e la Volpe. I lettori del giornale, prevalentemente giovani o giovanissimi, rimasero talmente stupiti dal macabro epilogo che scrissero in massa in redazione, chiedendo che Collodi modificasse l’epilogo della storia. Anche se non pienamente convinto, l’autore accontentò i propri lettori e cambiò il finale facendo diventare Pinocchio un bambino vero, insomma scrivendo il finale che tutti conosciamo.
C’è una curiosità a proposito proprio del titolo. Pinocchio è una marionetta ovvero un pupazzo di legno che si manovra con i fili e non un burattino che invece viene manovrato da sotto infilandovi la mano dentro. Nel libro però è chiamato, impropriamente, burattino.
La sua caratteristica più nota, come ben sappiamo, è il naso che si allunga a dismisura quando dice le bugie. Pinocchio è fondamentalmente buono e innocente, ma cade spesso nella tentazione di farsi trascinare da brutte compagnie ed è incline alla menzogna. A causa di queste caratteristiche si ritrova spesso nei guai dai quali riesce però sempre in qualche modo a cavarsela. In questo impianto narrativo si intravede, dunque, la classica morale delle favole indirizzata ai più piccoli in funzione educativa, ma anche un monito per i più grandi che comportandosi come Pinocchio potrebbero restare per sempre perenni bambini nell’animo.
I livelli di lettura sono molteplici, soprattutto se poi si presta attenzione ai personaggi e ai vari elementi che costituiscono gli episodi dell’intero racconto.
Una lettura diversa
Secondo Elémire Zolla: «il Pinocchio di Collodi è un miracolo letterario dalla profondità esoterica quasi intollerabile». Per capire meglio questa affermazione bisogna partire necessariamente dal nome del protagonista. L'origine del nome non è chiara: in prima battuta è possibile riscontrare il fatto che Pinocchio significa “pinolo” e che potrebbe far riferimento nell'antico dialetto toscano all'albero Pinus Pinea. Il nome, inoltre, potrebbe essere un’allusione alla ghiandola pineale, cioè la manifestazione fisica del “terzo occhio”: pin-occhio (occhio–pineale). Nell'accezione di pinolo si possono riassumere simbolicamente le caratteristiche del personaggio, come evidenziato anche da Gérard Génot: il seme come «valore filiale, infantile», nel suo stesso essere di legno, insomma «la carne nel legno, la germinazione nella durezza».
In quest’ottica, dunque, è possibile individuare i primi elementi che inducano a pensare che si tratti di un racconto iniziatico velato sotto la forma della favola per bambini. L’intreccio narrativo conterrebbe diversi elementi simbolici appartenenti all'antichissima tradizione magica e “sotterranea” della letteratura italiana che parte da Apuleio e attraverso la poesia medioevale di Federico II e Dante Alighieri approda fino all'esoterismo rinascimentale.
Chiave di lettura gnostico-massonica
Pinocchio simbolicamente potrebbe rappresentare l’archetipo di un'iniziazione: una marionetta di legno, simbolo della meccanicità della persona che aspira a un’evoluzione spirituale. Un’allegoria del sé inferiore che tende a modellarsi per diventare un essere umano che prova emozioni e quindi anela a diventare migliore e superiore; sembrerebbe un riferimento mediato e simbolico del processo alchemico e allo stesso modo del percorso massonico dall’iniziazione fino all’ultimo grado.
Il pezzo di legno rappresenterebbe proprio la pietra grezza che in massoneria va smussata e lavorata con gli attrezzi tipici degli scalpellini (molto simili anche a quelli di Geppetto) e che si ritrovano simbolicamente anche nelle logge massoniche.
Lo stesso episodio, per esempio, della sua trasformazione in asino, in termini esoterici, indica che egli è più vicino alla dimensione materiale (impersonata da questo animale testardo) più che a quella spirituale. Questa parte della storia, inoltre, è un riferimento letterario chiaro ad Apuleio e alla sua opera Asino d'oro, un classico studiato nelle scuole misteriche e anche nelle logge massoniche.
Il tema dell'autonomia e dell'auto-miglioramento è fortemente ispirato agli insegnamenti gnostico-massonici: la salvezza spirituale è qualcosa che si deve conquistare attraverso l'auto-disciplina, la conoscenza di sé e la forza di volontà.
Un altro riferimento alle tematiche massoniche si può individuare nella spoliazione dai metalli da parte del profano durante il rito di iniziazione, all’inizio del quale bisogna necessariamente consegnare tutto il denaro, in metallo o banconote, i gioielli e gli oggetti metallici in possesso. Questo rito simboleggia l’abbandono all’attaccamento alle idee preconcette e il distacco da ogni passione ed elemento materiale prima di entrare nei lavori della loggia. La stessa cosa avviene a Pinocchio nel momento in cui semina nella terra le monete d’oro; infatti, proprio da quel momento inizia il suo cammino verso la “salvezza” finale.
Il Paese dei Balocchi, infine, è una metafora della vita “profana”, così intesa in ambito massonico, caratterizzata dall'ignoranza, dalla ricerca della gratificazione immediata e della soddisfazione degli istinti più bassi.
Anche i personaggi della storia potrebbero avere una valenza simbolica. In questa prospettiva Mangiafuoco corrisponderebbe a Mammona che nei Vangeli è equiparato al denaro e più propriamente al potere della mondanità, mentre in Lucignolo è rinvenibile la figura di Lucifero che, come il Gatto e la Volpe (le passioni del corpo), distraggono Pinocchio dalla scuola e quindi dalla possibilità di accedere a un livello di conoscenza superiore; nella Fata Turchina si esprimerebbe l'archetipo della Grande Madre, assimilabile a Iside ma anche alla madonna cristiana che aiuta infine Pinocchio a ricongiungersi al “padre”.
Queste considerazioni, così impostate, farebbero sfociare l’analisi in un’altra possibile chiave interpretativa.
Chiave di lettura spirituale-esoterica
Alcune vicende della storia potrebbero essere riconducibili a elementi attinti da un background esoterico dello stesso autore. Già nella “creazione” di Pinocchio si può riscontrare un evidente parallelismo con le vicende bibliche e religiose. Geppetto è creatore e padre e non a caso falegname proprio come San Giuseppe, ma va oltre la funzione del padre putativo di Gesù perché inconsapevolmente fornisce a Pinocchio anche la possibilità di diventare “umano”. Si può notare, quindi, un’apparente inversione del paradigma o forse anche una sovrapposizione: Gesù muore su un pezzo di legno della croce mentre Pinocchio nasce proprio da un pezzo di legno.
Pinocchio, come in generale ogni essere umano, è insidiato da intelligenze maligne, diabolicamente più astute di lui (il Gatto e la Volpe); non avrebbe alcuna possibilità di salvezza senza l'intervento della Fata Turchina e di altre creature benevole. Infine Pinocchio non può restare prigioniero di Mangiafuoco perché a differenza degli altri burattini ha la consapevolezza di avere un “padre”.
C’è, poi, un altro episodio significativo che rientra chiaramente in tale matrice spirituale: Pinocchio nel ventre del pescecane che risulterebbe essere un chiaro riferimento al racconto biblico di Giona nell'Antico Testamento. Simbolicamente rappresenta la resurrezione e può essere collegato, come abbiamo visto, al tema del perfezionamento dello spirito; l’ambiente descritto nella pancia del grosso animale marino potrebbe coincidere anche nell’arredo al cosiddetto gabinetto di riflessione in cui vengono fatti sostare i neofiti per l’iniziazione massonica.
Anche la stessa figura della Fata potrebbe rappresentare Maria a causa proprio del suo intervento provvidenziale e per la sua strumentalità a Geppetto.
Dopotutto la storia di Pinocchio è l’archetipo della ribellione e del ritorno al Padre: un’espansione della parabola del figliuol prodigo.
Pinocchio viene impiccato, ma risorge ed ecco la sua “morte iniziatica”: in questo caso si sovrappongono la chiave di lettura esoterica con quella più prettamente spirituale.
Insomma la storia del burattino di Collodi in sostanza narra la condizione umana, in quel perenne contrasto e confronto tra il libero arbitrio e la propria coscienza.
Diceva Edoardo Bennato nella famosa canzone È stata tua la colpa del concept album Burattino senza fili del 1977 interamente dedicato all’opera di Collodi: «È stata tua la colpa allora adesso che vuoi? Volevi diventare come uno di noi, e come rimpiangi quei giorni che eri un burattino ma senza fili e adesso invece i fili ce l'hai!» e ancora «Adesso non fai un passo se dall'alto non c'è qualcuno che comanda e muove i fili per te adesso la gente di te più non riderà non sei più un saltimbanco ma vedi quanti fili che hai...».
In conclusione, pertanto, a futura memoria per tutti i bambini che saranno adulti, come riporta lo stesso Collodi: «Metti giudizio per l'avvenire e sarai felice».
«Un grosso e alto serpente con artigli e ali è forse la descrizione più fedele del drago. Può essere nero, ma conviene che sia anche lucente; anche se si vuole esigere che esali boccate di fuoco e fumo... in Occidente il drago fu sempre immaginato malvagio. Una delle imprese classiche degli eroi (Ercole, Sigurd, San Michele, San Giorgio) era di vincerlo e ucciderlo... nell'Apocalisse di Giovanni si parla due volte del drago, "il vecchio serpente che è Diavolo e Satana", analogamente Sant’Agostino scrive che il Diavolo è leone e drago; leone per l'impeto, drago per l'insidia. Jung osserva che nel drago ci sono il serpente e l'uccello, l'elemento della terra e quello dell'aria».
Così descrive la figura del drago lo scrittore Jorge Louis Borges nel suo libro “Manuale di zoologia fantastica” e lo riconduce, tra le altre, anche a un personaggio allo stesso tempo mistico e misterioso oltre la valenza prettamente religiosa: il suo nome è San Giorgio.
Il suo appellativo deriva dal greco gheorgós che significa agricoltore e lo troviamo menzionato addirittura già nelle Georgiche di Virgilio.
Oltre San Giorgio la lista dei cosiddetti santi sauroctoni, cioè uccisori di draghi, è molto lunga: Teodoro, Silvestro, Margherita e Marta solo per citare i più famosi. A questi bisogna poi aggiunge anche l’arcangelo Michele, famoso e importante perché a capo della battaglia contro il drago apocalittico proprio secondo quanto riportato dalle sacre scritture.
Chi era San Giorgio?
Notizie biografiche
San Giorgio nacque in Cappadocia tra il 275 e il 285 circa e può essere considerato un martire cristiano. Il suo culto è molto diffuso e risale almeno al IV secolo.
Le principali informazioni provengono dalla “Passio Sancti Georgii” sebben già il Decretum Gelasianum del 496 lo classificava tra le opere apocrife. Secondo questa fonte Giorgio era figlio del persiano Geronzio sposato con Policromia. I genitori lo educarono alla religione cristiana, ma trasferitosi in Palestina si arruolò nell'esercito dell'imperatore Diocleziano, comportandosi da valoroso soldato, fino al punto di giungere a far parte della guardia del corpo dello stesso imperatore.
Giorgio donò ai poveri tutti i suoi averi e si confessò apertamente cristiano; all'invito dell'imperatore di rendere sacrifici agli dèi egli si rifiutò fermamente: secondo la leggenda venne battuto, lacerato e gettato in carcere dove ebbe una visione di Dio che gli predisse sei anni di tormenti, tre volte la morte e le tre resurrezioni.
Tagliato in due con una ruota piena di chiodi e spade, Giorgio resuscitò e si rese protagonista della conversione del magister militum Anatolio con tutti i suoi soldati; entrò in un tempio pagano e con un soffio abbatté gli idoli di pietra; infine convertì l'imperatrice Alessandra che a sua volta venne martirizzata. A richiesta del re Tranquillino risuscitò due persone morte da quattrocentosessanta anni, le battezzò e le fece poi sparire.
L'imperatore Diocleziano lo condannò nuovamente a morte e il santo, prima di essere decapitato, implorò Dio affinché l'imperatore e i settantadue re fossero inceneriti; Giorgio si lasciò decapitare, promettendo protezione a chi avesse onorato le sue reliquie le quali sono conservate in una cripta sotto la chiesa cristiana a Lydda (l'odierna Lod in Israele).
Il culto
Le gesta in vita di San Giorgio gli valsero ovviamente la santificazione. La festa liturgica, infatti, si celebra il 23 aprile sebbene nel 1969 la Chiesa cattolica abbia declassato il santo nella liturgia a memoria facoltativa, ma, nonostante ciò, la devozione dei fedeli è continuata. San Giorgio è onorato anche dai musulmani che lo riconoscono come profeta.
Il nome di San Giorgio si dall’antichità era invocato per proteggersi contro i serpenti velenosi, la peste, la lebbra, la sifilide e nei paesi slavi contro le streghe.
San Giorgio è inoltre patrono dell'Inghilterra, del Portogallo, della Lituania, del Montenegro, della Georgia e dell'Etiopia.
Nell’iconografia del santo ritroviamo due figure fondamentali in funzione di archetipi: un drago cattivo e un guerriero coraggioso. Viaggiando a ritroso nella memoria collettiva troviamo le tracce di questa leggenda comune già in Mesopotamia, poi in Egitto ma anche nel mondo greco dove il drago era temuto anche dagli dèi dell'Olimpo, mentre all’epoca dell'Impero Romano la figura del mostruoso animale è passato progressivamente nel dimenticatoio, fin quasi a sparire, per rifarsi viva intorno all'anno Mille soprattutto in Europa.
Nella “Legenda Aurea” di Jacopo da Varazze si narra che in una città chiamata Silena, in Libia, vi fosse un grande stagno, tale da poter nascondere un drago che, avvicinandosi alla città, uccideva con il fiato tutte le persone che incontrava. Gli abitanti per placarlo gli offrivano due pecore al giorno ma, quando queste cominciarono a scarseggiare, furono costretti a offrirgli una pecora e un giovane sorteggiato tra la popolazione. Un giorno fu estratta proprio la giovane figlia del re. Il re, terrorizzato, offrì il suo patrimonio e metà del regno per salvarle la vita, ma la popolazione si ribellò avendo visto morire tanti suoi figli. Dopo otto giorni di tentativi il re alla fine dovette cedere e la giovane si avviò verso il lago per essere offerta al drago. In quel momento passò di lì il giovane cavaliere Giorgio il quale tranquillizzò la principessa promettendole il suo intervento nel nome di Cristo per evitarle la brutale morte. Quando il drago si avvicinò l’eroe salì a cavallo e con grande audacia lo affrontò ferendolo gravemente con la lancia; disse quindi alla ragazza di avvolgere la sua cintura al collo del drago il quale prese a seguirla docilmente verso la città. Allora il re e la popolazione si convertirono, il cavaliere uccise il drago e lo fece portare fuori dalla città trascinato da quattro paia di buoi.
Gli aspetti simbolici
La storia di San Giorgio e il drago sembra essere modellata su quella di Perseo e Andromeda. Di ritorno dalla vittoriosa impresa con la quale Perseo uccise Medusa, l'eroe incontrò Andromeda, la figlia del re d'Etiopia, che legata a una rupe stava per essere sacrificata in favore di un orribile e terribile mostro marino. L’amore dei due personaggi permise di sconfiggere il mostro e di liberare la fanciulla. L'episodio è stato raffigurato da Piero di Cosimo in un famoso dipinto presente attualmente agli Uffizi.
Nel medioevo la lotta di San Giorgio contro il drago divenne il simbolo della lotta del bene contro il male e per questo il mondo della cavalleria vi vide incarnati i suoi ideali. Vari ordini cavallereschi, infatti, portano oggi il suo nome e i suoi simboli: l'Ordine della Giarrettiera, l'Ordine Teutonico, l'Ordine Militare di Calatrava, il Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, il Reale e militare ordine di San Giorgio della Riunione e molti altri.
Nell'iconografia classica San Giorgio spesso compare con l'epiteto "O Τροπαιοφόρος" (tropeoforo ossia il vittorioso) e raffigurato alla stregua della divinità riconducibile al Sol Invictus che può essere considerata la trasposizione pagana della figura di Cristo, infatti tale festa è diventata poi quella cristiana del Natale.
La croce rossa in campo bianco rappresentata sui suoi vestiti è stata poi utilizzata come vessillo dai crociati e in seguito adottata da molte città tra cui Milano e Bologna, ma fu addirittura concessa in uso all'Inghilterra dai Genovesi.
Secondo vari studiosi la figura di San Giorgio, ma anche quella di San Michele, sono eredi dell'immagine dell'eroe radioso che uccide un drago e che in maniera mediata rappresenta la fase solare del mito della creazione, il cui archetipo è riconducibile al dio babilonese Marduk.
Nelle varie rappresentazioni iconografiche generalmente la scena dove opera il santo è raffigurata in luogo aperto, talvolta con la presenza di un lago proprio come nella descrizione della Legenda Aurea, ma alle spalle c'è sempre una boscaglia, una foresta o una caverna. Questo indica simbolicamente che l'eroe ha attraversato uno spazio oscuro come momento di iniziazione interiore prima di poter giungere nel luogo aperto dove affrontare il mostro. Talvolta la scena è ambientata proprio dentro la foresta. La caverna o la boscaglia indicano la profondità e l'oscurità dell'inconscio ossia un luogo oscuro dove si annida il male. La funzione del santo-cavaliere è quella di frenare le forze incontrollate e di ricondurle all'interno dell'essere. La lotta con il mostro avviene all’aperto e solo dopo aver attraversato il buio della foresta o della caverna cioè solo dopo aver attraversato e superato una maturazione intrinseca e intima.
L’altro elemento simbolico molto importante è certamente il drago. Queste creature generalmente avevano il corpo da serpente, le zampe da lucertola, le fauci da coccodrillo, gli artigli d'aquila, i denti da leone e le ali da pipistrello; il corpo era ricoperto di squame protettive e la maggior parte di loro era in grado di sputare fuoco e volare per percorsi indefiniti. La figura del drago è molto antica: si ritrovano ad esempio presso gli antichi Egizi, i Sumeri e i Greci.
Il drago (o dragone) era una creatura presente in moltissimi racconti mitologici; la rappresentazione più diffusa in occidente, sviluppatasi soprattutto nell'iconografia medievale, gli attribuiva una vista acutissima e occhi molto grandi, infatti lo stesso termine drago (drakon) era un riferimento etimologico al verbo greco derkesthai che significa proprio guardare.
Il simbolismo del drago ha una forte valenza psicologica: suscita paure ancestrali ma anche fascino e ammirazione; a livello esoterico racchiude un significato molto complesso e ambivalente: ossia indica allo stesso la potenza distruttrice ma anche la trasformazione della coscienza.
Nella cultura esoterica occidentale la figura del drago è di solito connessa al ruolo del divoratore (spesso in presenza di sacrifici umani) e del guardiano o custode di qualche tesoro, ruolo questo che si accentua soprattutto nell'epoca cavalleresca dove l'eroe che uccide il drago solitamente salva una donzella o libera la popolazione oppressa.
Nel simbolismo cristiano la figura del drago è spesso considerata attigua a quella del diavolo diventando simbolo e incarnazione del male da abbattere; esiste comunque anche un'accezione positiva che riguarda i Serafini detti "draghi alati" o "serpenti fiammeggianti".
Il drago inoltre simbolicamente compartecipa e sintetizza in sé i quattro elementi: può essere creatura terrestre o sotterranea, acquatica, aerea ed è certamente connessa al fuoco. La parte terrestre si ricollega al fatto che abita in grotte sotterranee e potrebbe essere custode di tesori nascosti; la parte acquatica rappresenta la componente della potenza caotica; la parte aerea rappresenta il volo, come anche nel mito tolteco e azteco di Quetzalcoatl ossia del Serpente Piumato portatore di conoscenza e maestro di sapienza; infine, la parte del fuoco conferma il carattere ambivalente: fecondatore e distruttore.
La principessa infine è interpretata simbolicamente come il principio psichico femminile che tenendo al guinzaglio il drago lo domina e metaforicamente rappresenta il controllo delle passioni dell'inconscio.
In questo scenario simbolico è significato l’interpretazione illuminante dello storico e studioso Franco Cardini: «Ciascuno di noi ha il suo drago da abbattere: per questo il Drachenkampf (letteralmente "battaglia con il drago"), la vittoria su sé stessi e sulle pulsioni più abbiette dell'io, diviene un momento centrale del "processo d'individuazione" proposto da Carl Gustav Jung. Tale battaglia, volta alla conquista del tesoro che sta nel fondo di noi stessi, è però, appunto perché tale, una iniziazione. […] Mostro ma anche maestro, il drago si sacrifica rivelando al suo uccisore - che perciò è anche suo allievo e quindi ritualmente suo figlio - il segreto profondo dell'essere. L'iniziazione termina con la morte dell'iniziatore e con il suo rivivere - attraverso l'ingestione del cuore e del sangue - nell'iniziato. E l'eroe sa bene che affrontare il "suo" drago significa guerreggiare con sé stesso, suicidarsi come uomo vecchio per risorgere come Uomo Nuovo».
«Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo». I passi biblici del libro di Apocalisse sono per loro natura ermetici e allo stesso tempo affascinati, ma in questo testé citato, in particolare, viene evidenziata la figura dell’arcangelo Michele; oltre all’aspetto prettamente religioso egli cela numerosi aspetti simbolici interessanti.
San Michele, in latino “Quis ut Deus?” ossia “Chi è come Dio?”, è un arcangelo riconosciuto come tale nell'Ebraismo, nel Cristianesimo e anche nell'Islam. La parola arcangelo deriva dal greco ed è composta da àrchein che significa comandare e da ànghelos che significa invece messaggero. Quindi gli arcangeli sono gerarchicamente e comandano sugli altri angeli. Nell'antica tradizione di origine giudaica gli arcangeli erano in numero di sette.
L'arcangelo Michele è di gran lunga il più noto perché secondo la tradizione era colui che aveva guidato le milizie angeliche nella lotta contro gli angeli ribelli capitanti da Lucifero. Quest'ultimo si era ribellato a Dio sostenendo di potersi paragonare a lui, ma l'arcangelo era intervenuto gridando: "Chi è come Dio?". Questo grido di battaglia che in antico ebraico si pronuncia "Mi ka El" è divenuto il nome proprio dell'arcangelo. Da qui viene anche l'appellativo di arcangelo guerriero: San Michele, infatti, viene spesso raffigurato bardato con un’armatura e munito di lancia o di spada nell'atto di uccidere un drago o una figura simil umana rappresentativa del diavolo.
Il culto religioso
Per la chiesa cattolica la solennità liturgica dei tre arcangeli (Michele, Gabriele e Raffaele) ricorre il 29 settembre. San Michele, in particolare, si festeggia anche in altre date come per esempio l'8 novembre, l'8 maggio, il 6 settembre, il 16 ottobre e la seconda domenica dopo Pasqua.
Egli è il patrono di numerose città e paesi ed è protettore anche del popolo Ebraico, custode della chiesa cattolica, protettore degli infermi e dei paramedici, delle forze dell’ordine, dei paracadutisti, dei radiologi e dei droghieri e di tutti coloro che usano bilance, come farmacisti, pasticcieri e merciai.
Il suo culto è molto diffuso e antichissimo.
Esiste una linea sacra che collega tutti i luoghi di culto più importanti dedicati a San Michele nota anche come Ley Line di San Michele; questa linea è composta dai seguenti santuari: Skellig Michael in Irlanda, St. Michael Mount in Cornovaglia, Mont Saint Michel in Normandia, la Sacra di San Michele in Val di Susa, San Michele a Monte Sant’Angelo in Puglia, il monastero di San Michele sull’Isola di Simi in Grecia e il monastero di Monte Carmelo in Israele. Oltre a trovarsi lungo la stessa linea retta immaginaria tre di questi luoghi sono anche equidistanti l’uno dall’altro: si tratta di Mont Saint Michel in Francia, della Sacra di San Michele in val di Susa e del santuario di Monte Sant’Angelo sul Gargano.
La Ley Line di San Michele è anche detta Ley Line del Drago e, tra le altre cose, i santuari presenti su questa linea sono perfettamente allineati con il tramonto del sole nel giorno del solstizio d’estate.
Fin dall’antichità il culto di San Michele o è stato studiato da molteplici punti di vista, seguendo suggestioni che spesso trascendevano la religione e il valore spirituale dei luoghi di devozione e forniscono interessanti spunti con una marcata valenza simbolica.
Aspetti simbolici
La figura di San Michele, in effetti, raccoglie in sé molti elementi e aspetti simbolici di altri culti che hanno preceduto il Cristianesimo, in particolare, per esempio, con la rappresentazione mitologica di Ercole/Eracle, di Mercurio/Hermes e del Mitra dei Persiani, il cui culto è stato ampiamente diffuso poi anche nell’impero romano fino al III-IV secolo d.C.
Michele, come detto, è menzionato nell'ultimo libro del Nuovo Testamento, l'Apocalisse di Giovanni, dopo la prima guerra in paradiso. Un tempo insieme a Lucifero guidavano le milizie divine ed erano considerati gli angeli più forti, coraggiosi e i più vicini a Dio. Dopo il tradimento di Lucifero la perfezione rappresentata da questi due angeli venne spezzata e divennero acerrimi nemici. Nell’immaginario l’arcangelo è impegnato nella guerra contro il suo antico fratello come ragione ontologica della sua stessa esistenza, scacciandolo dal cielo, perseguitandolo attraverso i millenni e difendendo l’umanità dalle sue insidie e dalle sue tentazioni. Da allora Michele è divenuto il punitore di tutti coloro i quali si innalzano contro Dio.
Secondo la profezia biblica, alla fine dei giorni, San Michele squillerà la tromba annunziatrice del gran giudizio finale quando il regno dei cieli verrà riconsegnato da Gesù Cristo a Dio Padre per l'eternità.
Gli elementi iconografici caratteristici sono rivelatori del significato simbolico, tra questi, per esempio, ritroviamo l’armatura con la lancia o più comunemente con una spada con le quali trafigge il diavolo. A volte ha in mano una bilancia con cui pesa le anime (psicostasia), particolare questo che deriva dalla tradizione islamica (a sua volta derivante dalla mitologia egizia e persiana), ma che non ha nessun fondamento nelle scritture cristiane o nella tradizione cristiana. A volte ritroviamo nella stessa rappresentazione anche la figura di Satana che di nascosto cerca di abbassare il piatto della bilancia nell'intento di aggiudicarsi l'anima in maniera fraudolenta. Sempre in questo contesto iconografico alcune volte è possibile scorgere una bestia immonda che divora i dannati.
L'iconografia bizantina predilige, invece, l'immagine dell'arcangelo in abiti da dignitario di corte (con il cosiddetto loron) rispetto a quella del guerriero che combatte il demonio o che pesa le anime, adottata invece maggiormente in Occidente.
Secondo vari studiosi, tra cui lo scrittore scozzese Robert J. Stewart, San Michele e San Giorgio hanno ereditato l'immagine dell'eroe radioso che uccide una creatura mostruosa (con le sembianze del drago o del diavolo), parte della fase solare del mito della creazione il cui prototipo fu il dio babilonese Marduk: «In epoca ellenistica l'equinozio autunnale, come quello primaverile, era consacrato a Mitra-Sole considerato demiurgo e cosmocrator, signore e animatore del cosmo, la cui funzione era simboleggiata da una sfera che teneva in mano; ma anche mediatore cosmico e dunque, per tanti aspetti, analogo a Hermes-Mercurio. […] Molte funzioni equinoziali e mediatrici di Mitra-Sole-Hermes vennero ereditate da San Michele, la cui festa cade in Occidente nel periodo subito successivo all'equinozio».
A partire dal periodo longobardo la figura è stata identificata e sovrapposta con il dio germanico Odino e per il mondo pastorale e agricolo dell'Italia centro-meridionale finì per assimilare elementi del culto di Ercole. Questo, infatti, era il guerriero per eccellenza: vestito di una pelle di leone e armato di una potente clava veniva spesso raffigurato nell'atto di uccidere un mostro ossia l'Idra di Lerna in una delle sue più celebri "fatiche".
Spesso il culto di San Michele si intreccia con quello della Vergine Maria. Entrambi combattono contro il demonio ed entrambi sono rappresentati mentre lo schiacciano sotto i loro piedi. Entrambi, soprattutto, sono protettori dell’umanità contro le sue lusinghe e custodi del gregge di Dio contro il male. In tale prospettiva l’Arcangelo Michele simbolicamente aiuta l’uomo a sviluppare l’intelligenza, ma è anche colui che cerca di risvegliare il pensiero cosciente e la via del cuore per combattere l’egoismo di tipo materialistico.
Alcuni elementi tipici dell’iconografia ci aiutano a decodificare la valenza simbolica della figura dell’arcangelo. La spada è, in primo luogo, il simbolo della condizione militare e della sua virtù. Nella tradizione cristiana la spada è l’arma nobile che appartiene ai cavalieri e agli eroi. In quanto guerriero di Dio e vincitore delle potenze infernali, l’arcangelo Michele ha spesso una spada fiammeggiante. Si tratta della “fiamma della spada folgorante” posta, come descritto nei passi di Genesi, a guardia dell’Eden.
Vi è poi la bilancia ossia il simbolo dell'essenza stessa dell'equilibrio raggiunto alla fine del cammino di lotta di Michele. La bilancia è in generale il simbolo della giustizia e del retto comportamento. Egli, quindi, rappresenta l'equilibrio che deve essere trovato tra il bene e il male e più in generale tra una dimensione materiale e quella spiritale, tra la terra e il cielo ossia proprio i luoghi dove si combatte la disputa. La bilancia e la spada sono simboli complementari e indicano la giustizia che si coniuga con la verità.
Risulta illuminante l’analisi simbolica proposta dall’esoterista Rudolf Steiner: «I veri pensatori sono coloro che servono Michele, che essi considerano come il reggitore del pensiero cosmico. Michele infatti libera i pensieri dal giogo del cervello e gli apre il mondo del cuore… In lui l’immagine del mondo diviene rivelazione piena di saggezza che svela l’intelletto del mondo quale divina azione universale. In questa azione universale, vive la sollecitudine del Cristo per l’umanità; mediante la rivelazione universale di Michele, tale sollecitudine può così rivelarsi al cuore degli uomini».