Giornalista iscritto all'Albo Nazionale dal 2012
Attualmente redattore del mensile Mistero
rivista dell'omonima trasmissione televisiva di Italia Uno
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La storia ha sempre due facce: Giano bifronte guarda in direzioni opposte sul travagliato cammino delle vicende umane. Due facce che spesso hanno le stesse sembianze, ma non la stessa visibilità né la stessa visuale: una illuminata dai riflettori sul palcoscenico della storia ufficiale e l’altra nascosta nella penombra dietro le quinte.
Esistono per esempio due “storie” che raccontano la nascita dell’Unione Europea: una ufficiale e di facciata che vede sulla scena l’operato di personaggi illustri come De Gasperi, Shuman, Monnet e Adenauer; l’altra nascosta, fatta nelle retrovie forse volutamente, ma non per questo meno importante e determinante e per questo tutta da scoprire. Nel retropalco troviamo personaggi che non sono entrati nei libri di storia. Uno di questi è l’aristocratico Richard Koudenove-Kalergi.
Chi era il Richard Koudenove-Kalergi
Il conte Kalergi nacque a Tokio nel 1894. Suo padre svolgeva le funzioni di ambasciatore in Giappone per conto dell’Impero Austro-Ungarico, mentre la madre, di origine giapponese, era la figlia di un ricco commerciante. Trascorse l’infanzia in Boemia e completò gli studi a Vienna. Al termine della Grande Guerra assunse dapprima la cittadinanza cecoslovacca per poi essere naturalizzato come cittadino francese. Già queste note bibliografiche evidenziano l’impronta cosmopolita della sua vita.
Non tutti sanno che Kalergi può essere considerato a tutti gli effetti tra i fondatori della cosiddetta “Unione Paneuropea” ed è stato tra i primi in epoca moderna a esternare la possibilità di confederare gli stati europei. Il simbolo del suo movimento doveva essere una croce rossa con un sole dorato su fondo azzurro: la croce di Cristo sul sole di Apollo, un simbolo dai risvolti esoterici non di poco conto.
Nel dicembre 1921 fu iniziato in massoneria nella Loggia "Humanitas" di Vienna. Nel 1923 pubblicò il suo primo libro dal titolo evocativo “Paneuropa” nel quale si delineavano i primi concetti europeisti, quando in realtà l’intero continente era negli anni immediatamente successivi al primo conflitto mondiale e stava per entrare in un periodo molto caldo e particolarmente turbolento. Il messaggio del libro era, dunque, per l’epoca originale e all’avanguardia perché prospettava, in prima battuta, un’unione d’intenti economici e commerciali che avrebbe dovuto aprire la strada poi a un periodo di pace e costituire le basi per generare un’architettura portante e unitaria al fine di garantire la stabilità politica.
Negli anni ‘30 Kalergi condannava fermamente il modello nazional-socialista e quello sovietico, tanto che l’industria tedesca revocò definitivamente i finanziamenti alla nascente Unione Paneuropea, mentre gli intellettuali filo-sovietici lasciarono progressivamente il sodalizio.
Durante la Seconda Guerra Mondiale si rifugiò negli Stati Uniti, ma nel 1946 tornò in Europa e le sue idee giocarono un ruolo di estrema importanza, sebbene spesso nella penombra, per i lavori costitutivi dell’attuale struttura europea. Ben presto ebbe il supporto finanziario del banchiere tedesco Max Warburg; all’epoca suo fratello Paul Warburg era stato uno dei fondatori della FED (la Federal Reserve statunitense) oltre che leader del Council on Foreign Relation (CFR). Come si può evidenziare, dunque, non mancò il supporto di Wall Street e quindi degli Stati Uniti d’America che spingevano verso la creazione di un’entità europea federata, forse nell’intento di poterla meglio controllarla in funzione della ristrutturazione politica bipolare del mondo dopo la caduta del nazi-fascismo.
Gli Ideali
Nel suo libro “Praktischer Idealismus” prospettò un’Europa non più popolata dalle stirpi etniche originarie bensì da una mescolanza multirazziale risultante dall’incrocio con le razze asiatiche e di colore che in maniera sempre più consistente avrebbero “invaso” il Vecchio Continente. Il suo pensiero, però, si spingeva oltre: questa nuova razza meticcia in realtà doveva essere fortemente auspicata a livello politico perché sarebbe stata più facilmente dominabile e manipolabile dai centri di potere e di interesse economico. Si prospettava così la creazione di una specie “subumana” che solo in apparenza andava nella direzione della proclamazione di un conciliante e accomodante multiculturalismo.
Per Kalergi la prospettiva futura della creazione di un super-stato europeo doveva passare necessariamente attraverso tre momenti distinti: una fase di cooperazione tra i diversi paesi europei in cui le varie decisioni di interesse comune sarebbero state prese all’unanimità; una seconda fase che avrebbe dovuto portare all’unione doganale e in fine la fase conclusiva con la reale svolta e la creazione degli Stati Uniti d’Europa.
Il programma della federazione prevedeva poi nove punti così articolati: il conferimento ufficiale della sovranità di ogni nazione a nuovi organi politici sovranazionali e unitari, l’istituzione di una corte federale europea per gestire eventuali conflitti tra gli stati membri dell’unione, la creazione di un esercito europeo, la formazione di un’unione doganale compiuta, la condivisione unitaria e federale dei possedimenti coloniali di quelle nazioni che ne fossero titolari, l’adozione di una moneta unica, il rispetto della varietà delle culture continentali, la tutela delle minoranze etniche e un’adeguata collaborazione con altre istituzioni sovranazionali, in primis con la Società delle Nazioni.
A dire il vero voleva realizzare quello che attualmente viene definito da più parti il Nuovo Ordine Mondiale con l’assembramento di macro-zone: una pan-America, una pan-Eurasia (con dentro la Russia) e un’unione pan-asiatica che comprendesse Cina e Giappone con particolare influenza sul Pacifico. Inoltre, a livello ideologico spingeva verso una pan-ideologia, ossia un misto tra capitalismo e comunismo e un’unica pan-lingua, ovvero l’inglese da parlare in tutta Europa accanto agli idiomi nazionali o addirittura in sostituzione.
Era, inoltre, molto scettico e contrario nei confronti dei regimi democratici, proprio perché pensava che il vero potere dominante fosse gestito dalle cosiddette oligarchie plutocratiche. In altre parole il suo pensiero si potrebbe inquadrare nell’ambito del concetto di “rivoluzione conservatrice” incentrato saldamente sull’azione di una classe dirigente ed elitaria in grado di salvare l’Europa e garantire la stabilità.
Unione Europea e immigrazione controllata
Nella sua opera più importante “Praktischer Idealismus” del 1925, tra le altre cose, esponeva le differenze l’«uomo rustico» e l’«uomo urbano» e da questa distinzione provocatoria nasceva l’elemento discriminante dell’interpretazione del suo pensiero a metà strada tra complottismo e storiografia. L’uomo rustico avrebbe come caratteristiche la prestanza fisica, l’aggressività, l’eroismo, la forza di carattere e di volontà, ma avrebbe anche un’innata limitatezza e povertà di spirito. L’uomo urbano, invece, sarebbe il frutto della mescolanza di sangue e sarebbe caratterizzato dall’apertura mentale, da una spiccata cultura e dalla ricchezza di spirito, ma sarebbe però sprovvisto di carattere e volontà, di coraggio fisico e di iniziativa.
Precisa Kalergi: «L’uomo del futuro remoto sarà meticcio. Le razze e le caste di oggi saranno le vittime del superamento di spazio, tempo e pregiudizio. La razza eurasiatica-negroide del futuro, simile nell’aspetto alla razza degli antichi Egizi, sostituirà la pluralità dei popoli con una molteplicità di personalità. Nell’individuare la nuova aristocrazia del domani, la intravede nell’ebraismo, che dopo secoli di persecuzioni, ora sarebbe divenuto la vera razza spirituale padrona dell’Europa».
Questa prospettiva è solo una visione fortemente influenzata dalle ideologie di quell’epoca storica o invece è una profezia che è una manifestazione programmatica di intenti per i flussi migratori che di lì a qualche anno avrebbero interessato sempre più massicciamente il bacino mediterraneo e più in generale l’intera Europea? A tal proposito la situazione attuale che si sta delineando fa riflettere e non poco.
Forse non a caso in un recente studio dell’Onu si è introdotto il concetto di “immigrazione di rimpiazzo” che porta al centro del dibattito la necessità di sostituire buona parte della popolazione europea con migranti, al fine di compensare il calo delle nascite e salvaguardare il crollo dei sistemi pensionistici. Oggi in Europa in media ci sono quattro persone in età di lavoro per ogni pensionato, nel 2050 ce ne saranno solamente due. In Germania ci sono 24 milioni di pensionati contro 41 milioni di adulti, in Spagna 15 milioni di over 65 sono a carico di 24,4 milioni di lavoratori, mentre in Italia 38 milioni sono in età da lavoro e 20 milioni aspettano l’assegno dell’INPS.
L’indice di natalità europeo è molto basso e per riequilibrare questo gap sono necessari circa quaranta milioni di bambini nei prossimi cinque anni. Tale integrazione fattivamente potrebbe arrivare solo dai flussi migratori. Con questa situazione ecco che ritornano alla mente le parole del programma di Kalergi.
Allora in che direzione guarda Giano? La storia spesso è un grande collage di strane coincidenze che lo stesso Giano forse guarda con strabismo quando si scopre che in onore di Kalergi è stato istituito un premio europeo che ogni due anni viene assegnato gli europeisti che si sono maggiormente distinti. Tra di loro, per esempio, troviamo nomi del calibro di Angela Merkel o Herman Van Rompuy.
In che direzione guarda Giano?
«Da dove proviene l'ordine e la bellezza che vediamo nel mondo?» La domanda per eccellenza, quella che ogni essere umano si è fatto almeno una sola volta nella vita è la stessa che ha accompagnato sicuramente l’intera esistenza di colui che può essere considerato il padre della scienza moderna: sir Isaac Newton. Uomo di scienza, ma soprattutto ideatore e scopritore.
Le scoperte scientifiche più importanti avvengo quasi sempre per caso. Quando la mela cadendo dall’albero colpiva la testa di Newton nasceva non solo lo spunto per la teoria della gravità dei corpi, ma soprattutto si apriva la strada all'osservazione empirica e scientifica della realtà. Nasceva in altre parole la scienza moderna: un nuovo metodo rigoroso per assecondare l’atavica curiosità dell’uomo sempre alla ricerca di risposte certe e per interpretare, citando Newton, la “bellezza che vediamo del mondo”.
Chi era Newton
Isaac Newton nacque a Woolsthorpe-by-Colsterworth in Inghilterra il 25 dicembre 1642 in una famiglia di allevatori. Suo padre, anch'egli di nome Isaac, morì tre mesi prima della sua nascita. Quando il piccolo Isaac aveva soli tre anni, sua madre si risposò, lasciandolo alle cure dei nonni materni. Furono anni molto infelici che segnarono l’infanzia: odiava il suo patrigno e pare che una volta sia giunto addirittura a minacciare di incendiare la sua casa. Una personalità complessa, come tutte le grandi menti. Fin da giovanissimo si appassionò allo studio e alla ricerca scientifica. Contribuì in maniera importate agli studi della meccanica classica grazie all’elaborazione delle leggi del moto che lo portarono all’enunciazione della legge di gravitazione universale. Con i suoi studi diede un grande impulso alla teoria eliocentrica. Sviluppò e perfezionò, inoltre, il calcolo matematico differenziale. Fu il primo, tra le altre cose, a dimostrare che la luce bianca era composta dalla somma in frequenza di tutti gli altri colori e con circa due secoli di anticipo enunciò la teoria corpuscolare della luce che venne poi confermata da Albert Einstein solo nel 1905. Il suo impegno in questo ambito, per esempio, si può comprendere meglio con un piccolo aneddoto di un particolare esperimento che condusse su se stesso: avendo intuito che la visualizzazione del coloro nell’occhio umano fosse provocato da un meccanismo di pressione sullo stesso, egli premette un ago da calza intorno al suo occhio fino a quando poté dare dei colpetti al retro dello stesso, notando come poi riferì "cerchi bianchi, scuri e colorati fintanto che continuava ad agitarlo".
Newton fu anche un membro del Parlamento inglese e nel 1703 divenne presidente della Royal Society e un associato dell’Académie des Sciences. Morì a Londra il 20 marzo 1727 all'età di 84 anni e fu sepolto nell'Abbazia di Westminster.
A causa del suo carattere solitario e asociale, si è detto che potesse soffrire di una forma di autismo. In realtà spesso semplicemente scontroso e litigioso. Si dice che Newton abbia riso una sola volta in vita sua: quando uno studente gli chiese se valesse la pena studiare gli Elementi di Euclide.
Newton fu tutto questo, ma non solo: fu anche filosofo, teologo e alchimista. Aspetti questi che spesso passano in secondo piano, messi in ombra dalla monumentalità scientifica dei suoi studi.
Newton e l’alchimia
Newton dedicò molto tempo allo studio dell'alchimia, in un'epoca in cui le conoscenze della chimica erano agli albori, cercando di approfondire le caratteristiche e le peculiarità delle sostanze con particolare riferimento agli studi ermetici tradizionali. Il famoso economista John Maynard Keynes acquisì molti dei suoi scritti proprio sull'alchimia e dichiarò: «Newton non fu il primo dell'età della ragione: fu l'ultimo dei maghi».
Le sue ricerche in questo ambito in particolare furono dedicate al suo metallo prediletto ossia il mercurio. I suoi frequenti esaurimenti nervosi e la causa di alcuni suoi eccessi caratteriali e umorali potrebbero essere riconducibili ai sintomi psichici e neurologici tipici proprio dell'avvelenamento da mercurio o, secondo altri, a un disturbo bipolare.
L'apice della riflessione alchemica di Newton fu raggiunta con il saggio intitolato “Praxis” del 1693 che comunque non fu mai pubblicato né divulgato adeguatamente.
La maggior parte dei manoscritti dove Newton parlava esplicitamente del suo interesse nei confronti dell’alchimia devono essere ancora studiati e approfonditi per una duplice ragione: da un lato sono di difficile interpretazione perché sono scritti utilizzando un linguaggio e una simbologia segreta, dall’altro perché lo stesso scienziato era molto prudente nel divulgare le sue scoperte anche perché all’epoca l’alchimia era considerata una scienza di confine.
Newton era convinto che sia le sacre scritture sia gli antichi testi alchemici contenessero "verità" nascoste celate sotto forma di linguaggio esoterico.
A partire dal 1696 si trasferì a Londra per dirigere la Zecca dello Stato. Poco prima di lasciare Cambridge aveva ricevuto un misterioso personaggio con cui aveva discusso di un particolare procedimento alchemico messo a punto da un noto alchimista dell’epoca nel quale veniva utilizzato il vetriolo.
Sappiamo inoltre che Newton trasportò a Londra non solo la sua biblioteca ma anche parte della sua attrezzatura sperimentale utilizzata per poter compiere i suoi esperimenti alchemici.
Nel 1727, poche settimane prima di morire, bruciò con l'aiuto del nipote John Conduitt molti documenti mentre si trovava nella sua casa londinese di Leichester Field. Che cosa riguardavano questi documenti? Quasi sicuramente documenti e studi riservati e molto probabilmente anche ricerche nell’ambito dell’alchimia.
Newton e la religione
Un altro aspetto particolare e poco noto di Newton è quello riguardante le sue idee religiose e filosofiche che a differenza delle importanti scoperte scientifiche mantenne riservate e segrete. In ambito filosofico il suo pensiero era molto affine al pitagorismo, al neoplatonismo e al neostoricismo.
Lo scienziato inglese si interessò inoltre molto anche di religione. Scrisse numerosi opuscoli sulla interpretazione letterale della Bibbia. Credeva che in vari punti il testo fosse stato forzato e falsificato e si adoperò per cercare di trovare il significato originale. In particolare in “An Historical Account of Two Notable Corruptions of Scripture”, pubblicato postumo la prima volta nel 1754, prese in esame tutte le prove testuali ottenibili da fonti antiche su due passi della Bibbia: I Giovanni 5:7 e I Timoteo 3:16. Il suo intento era quello di dimostrare l'inesistenza scritturale della dottrina trinitaria.
Scrisse in una lettera del 10 dicembre 1682 a Richard Bentley: «Non credo che ciò [l'Universo] si possa spiegare solo con cause naturali, e sono costretto a imputarlo alla saggezza e all'ingegnosità di un essere intelligente».
La maggior parte degli studi religiosi però furono indirizzati sull’ultimo libro della Bibbia, quello che da sempre ha affascinato molti studiosi. Nel “Trattato sull'Apocalisse” tentò infatti di applicare il metodo scientifico deducendo assiomi e regole uniformi utili all'interpretazione. In questo testo sosteneva che l'oscurità e impenetrabilità dei testi fosse nei piani di Dio il quale all'avvicinarsi del tempo apocalittico avrebbe svelato la chiave interpretativa giusta: «E se Dio fu così adirato con gli Ebrei perché non avevano esaminato più diligentemente le profezie che egli aveva dato loro per riconoscere Cristo, perché dovremmo pensare che ci scuserà se non esamineremo le profezie che ci ha dato per riconoscere l'Anticristo? Poiché certamente aderire all'Anticristo deve essere per i cristiani un errore tanto pericoloso e tanto facile quanto lo fu per gli Ebrei rifiutare Cristo. E perciò è tanto nostro dovere sforzarci di essere in grado di riconoscerlo, noi che possiamo evitarlo, quanto lo fu il loro di riconoscere Cristo che potevano seguire».
In un manoscritto redatto nel 1704 nel quale descriveva i suoi tentativi di estrarre informazioni scientifiche dalla Bibbia, stimò che la fine del mondo sarebbe avvenuta nell'anno 2060. Questo calcolo si basava sulla profezia di Daniele, applicando ancora una volta il metodo scientifico: calcolò, infatti, che la seconda venuta di Cristo si sarebbe verifica non prima del 2060, vale dire 1.260 anni dopo l'incoronazione di Carlo Magno. Nel manoscritto comunque lo stesso scienziato precisò che: «non per affermare quando sarà il tempo della fine, ma per porre fine alle incaute congetture di uomini fantasiosi che frequentemente predicono il tempo della fine e così facendo gettano nel discredito le sacre profezie tanto sovente quanto falliscono le loro predizioni».
Gli studi escatologici pare avessero su di lui una grande fascino, infatti in cinquant’anni di attività come professore di Cambridge scrisse più di 4.500 pagine sul tema delle profezie bibliche.
É evidente che oltre lo studioso rivoluzionario che tutti conosciamo si celava un personaggio tutto ancora da scoprire, come si può intuire dalle sue stesse parole: «Non so come apparirò al mondo. Mi sembra soltanto di essere stato un bambino che gioca sulla spiaggia, e di essermi divertito a trovare ogni tanto un sasso o una conchiglia più bella del solito, mentre l'oceano della verità giaceva insondato davanti a me».