Giornalista iscritto all'Albo Nazionale dal 2012
Attualmente redattore del mensile Mistero
rivista dell'omonima trasmissione televisiva di Italia Uno
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“È giunta l'ultima era dell'oracolo di Cuma, nasce di nuovo il grande ordine dei secoli. Già ritorna la Vergine, ritornano i regni di Saturno, già una nuova stirpe scende dall'alto del cielo”. Questo verso che cita “il grande ordine dei secoli” non è l’ultima esternazione di qualche complottista. Risale al 38 A.C. ed è contenuto nell’opera le Bucoliche di Virgilio. Eppure la citazione sibillina assume un significato profetico se attualizzata e riportata ai giorni nostri.
Sin dall’antichità l’uomo ha nutrito sempre una grande curiosità per l’osservazione del cielo e un grande interesse verso le interpretazioni dei fenomeni ad esso collegato: un timore reverenziale per uno spazio dimensionale affascinante, ma allo stesso tempo percepito come distante e staccato dal contatto immediato con l’uomo. Ecco perché da sempre il cielo racchiude e porta intrinsecamente con sé un concetto carico di sacralità: sempre e costantemente a metà strada tra il divino e la mistificazione. Nel cielo si verificano tanto le apparizioni mariane quanto quelle degli ufo. Si gioca proprio su questa dicotomia e sulla valenza carica di sacralità della volta celeste l’ideazione e la messa in opera di un progetto segreto e poco conosciuto, ma che se fosse veramente attuato avrebbe dei risvolti sconvolgenti. Si tratta del “Blue Beam Project”, tradotto alla lettera significa “Progetto del Raggio Blu”: un piano militare segreto che consisterebbe nella sistematica proiezione in cielo di ologrammi su vasta scala a livello mondiale prevalentemente con colorazioni blu e tridimensionali.
Serge Monast
Già a partire dagli anni ’90 è possibile rintracciare documenti ufficiali e brevetti depositati che evidenziano la possibilità di creare ologrammi tridimensionali e in movimento per "operazioni psicologiche" a fini militari.
Il primo a parlarne, però, con dovizia di particolari è stato nel 1994 Serge Monast, un giornalista investigativo del Quebec; egli è stato anche poeta, saggista e soprattutto studioso di storia segreta e in particolare delle tematiche legate al Nuovo Ordine Mondiale. Monast è morto ufficialmente di infarto il 5 dicembre 1996, il giorno dopo aver trascorso una notte in prigione. Prima della morte del giornalista anche sua figlia è stata sequestrata e non ha fatto più ritorno a casa; molti hanno messo in relazione i due episodi, interpretandoli come intimidazioni per dissuaderlo dal proseguire le ricerche proprio in merito al Progetto Blue Beam.
L’incipit del suo articolo sull’argomento è fulminante: «L’infame progetto Blue Beam è articolato in quattro tappe intese a instaurare progressivamente la religione New Age presieduta dall’Anticristo. Va ricordato che la religione New Age è il fondamento stesso del nuovo governo mondiale, senza la quale la dittatura del nuovo ordine mondiale sarebbe del tutto impossibile. Ripeto: senza la fede universale nella religione New Age, il successo del nuovo ordine mondiale sarà impossibile! Ecco perché il progetto Blue Beam è così importante per loro ed è finora stato tenuto così ben nascosto».
Le quattro tappe del progetto
Nel suo articolo Monast spiega che il progetto è strutturato su quattro tappe operative con una tempistica ben precisa. La prima tappa consisterebbe nel capovolgimento di tutte le conoscenze archeologiche. L’idea è di provocare terremoti artificiali in determinati punti del pianeta in seguito ai quali verranno inscenate clamorose scoperte fasulle per dimostrare ai popoli l’errore in cui le dottrine religiose fondamentali sono incorse. La seconda tappa riguarderebbe un gigantesco spettacolo spaziale avvalendosi di suoni e ologrammi ottici a tre dimensioni, nonché proiezioni laser di immagini olografiche multiple in vari punti del mondo che si differenzieranno a seconda del credo religioso nazionale dominante. La voce di Dio parlerà in tutte le lingue. Secondo l’autore starebbero già perfezionando un sofisticato computer programmato con i dati relativi all’anatomia del corpo umano e alle proprietà elettriche, chimiche e biologiche del cervello. Tutti questi eventi avrebbero lo scopo di dimostrare al mondo la venuta del nuovo Cristo-Maitreya che instaurerà la nuova religione mondiale. Il cielo sarà utilizzato come un grande schermo cinematografico, mentre molteplici satelliti proietteranno simultaneamente immagini ai quattro angoli del pianeta in tutte le lingue e in tutti i dialetti. In seguito, dopo che saranno state divulgate spiegazioni a proposito dei misteri spirituali, le proiezioni di Gesù, Maometto, Buddha e Krishna si fonderanno in un’unica immagine.
Questo dio unico virtuale, ovvero l’anticristo, cercherà di spiegare che le scritture sacre sono state male interpretate e che le antiche religioni sono responsabili dei conflitti tra le nazioni; cosicché le religioni cederanno il posto al credo della New Age, rappresentata dal dio unico.
Naturalmente, da questa colossale mistificazione scaturiranno disordini religiosi e sociali di ampia portata. Inoltre questo evento avverrà in un’epoca di grande anarchia politica mondiale e di tumulto generale provocato da una catastrofe di portata planetaria.
La terza tappa del progetto Blue Beam sarebbe denominata “comunicazione elettronica a doppio senso”. Il 21 marzo 1983 il quotidiano “Sydney Morning” pubblicò un articolo secondo cui i sovietici avrebbero sviluppato una tecnologia in grado di pervadere la mente umana. A conferma di questo, per esempio, suonano preoccupanti le parole dello psicologo James McConnell: «Siamo in grado di controllare la privazione sensoriale e la manipolazione della punizione/ricompensa per ottenere un controllo quasi assoluto sul comportamento dell’individuo. Dovrebbe essere possibile realizzare un tipo di lavaggio del cervello positivo che ci consenta di operare cambiamenti nel comportamento di una persona a titolo definitivo». Si muove in tale prospettiva anche la creazione dei cosiddetti "Candidati Manciuriani", ossia persone a cui è stato fatto il "lavaggio del cervello" per utilizzarle come potenziali assassini; uno scenario descritto già nel film “The Manchurian candidate” del 2004. Nel dicembre 1980 venne pubblicato un articolo del tenente colonnello John Alexander dove dichiarava: «Molti esempi attestano incredibili progressi in tali aree. Il trasferimento di energia da un organismo all'altro; la capacità di trasmettere o guarire una malattia a distanza e il potere di provocare la morte da lontano in modo che non sia riscontrabile la causa del decesso. È possibile inoltre modificare il comportamento per mezzo di strumenti telepatici che consentono di produrre uno stato ipnotico fino ad una portata di mille chilometri, e questi sono tutti obiettivi già conseguiti. Se riusciremo ad alimentare il pensiero artificiale multigenico mediante satellite, il controllo mentale dell'intero pianeta sarà a portata di mano». Infine la quarta tappa con la massima manifestazione della "soprannaturalità" esplicitata attraverso simulazioni olografiche di invasioni aliene e del fenomeno biblico del rapimento dei cristiani al fine di spingere popolazioni intere al limite dell'isterismo e della follia, con ondate di suicidi, omicidi e disturbi psicologici permanenti. In questo contesto l’arrivo del nuovo messia, incarnato nell’anticristo, sarà invocato e ben accetto.
La tecnologia al servizio della fiction
Per creare questi effetti scenografici saranno utilizzate conoscenze scientifiche di grande importanza rimaste però sottotraccia, come per esempio quelle di Nicola Tesla. Tenendo conto dei suoi studi l’atmosfera potrebbe essere preparata attraverso l’inondazione di scie chimiche rilasciate nel cielo che surriscalderebbero la ionosfera trasformando l’atmosfera stessa in un maxi schermo; le luci inviate invece di attraversarla e di conseguenza disperdersi, si rifletterebbero appunto verso il basso, creando con l’aiuto di proiettori olografici delle immagini molto realistiche. La proiezione sarebbe effettuata direttamente dai satelliti orbitanti, usando come “schermo” uno strato di sodio fluttuante a circa 100 chilometri dalla superficie terrestre. In questo senso rivestirebbe una notevole importanza anche l’operato del progetto H.A.A.R.P., ossia il sofisticato sistema di trasmettitori di onde elettromagnetiche presente in Alaska.
Come spesso accade le metodologie che probabilmente potrebbero essere utilizzate nel progetto Blue Beam sono state già anticipate sul piccolo o sul grande schermo, proprio per abituare il cittadino comune e per testare le reazioni. È il caso, per esempio, della serie di Star Trek; in particolare negli episodi intitolati sinistramente “The God thing” e “Devil’s due” è descritto un ambiente inquinato, dove si susseguono i terremoti e a un certo punto nel cielo appaiono ologrammi della dea Ardra che sfrutta una sofisticata tecnologia per ridurre in schiavitù la popolazione, fingendo alla fine di strapparla alla catastrofe imminente.
In sostanza, dunque, sarà proprio la tecnologia sviluppata tenendo conto delle conoscenze scientifiche mantenute segrete a costituire il mezzo per lo sviluppo e l’attuazione del progetto.
È curioso notare come fasci di colore blu siano stati piazzati e proiettati verso il cielo in corrispondenza dei crateri dove prima del 2001 sorgevano le Torri Gemelle. Nell’iconografia luciferiana i demoni appaiono contornati proprio da un’aura azzurra; ma c’è un’altra caratteristica cromatica di questo colore: ha la capacità di rilassare l’individuo e di normalizzargli la frequenza del battito cardiaco e della pressione. Elementi questi essenziali per attuare, come abbiamo visto, potenzialmente il condizionamento mentale.
L’aspetto religioso
È importante notare come il progetto Blue Beam abbia una sponda significativa in alcuni versetti della Bibbia che assumono in tal senso una valenza profetica non di poco conto; infatti, per esempio in Luca 21:11 si dice: «vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo». In Matteo 24 poi viene specificato ancora meglio: «Molti falsi profeti sorgeranno e sedurranno molti» e poco dopo «perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti, e faranno grandi segni e prodigi da sedurre, se fosse possibile, anche gli eletti».
C’è bisogno di teatro? Sì, c’è ancora bisogno di teatro: è questa la risposta che giunge dalla sesta edizione della manifestazione del concorso nazionale dei corti teatrali “Ritagliatti” che si è tenuta il 9 aprile 2016 presso l’auditorium parrocchiale S. Giuseppe Artigiano di Matera e presentata dalla giornalista Antonella Losignore. L’evento promosso dalla UILT Basilicata (Unione Italiana Libero Teatro), come ogni anno, s’inserisce nella celebrazione della giornata mondiale del teatro. Anche in questa edizione è stata ampia e variegata la partecipazione; in particolare, dopo la fase di selezione, alla serata finale, con la possibilità di mettere in scena corti di circa quindici minuti, hanno partecipato le seguenti compagnie teatrali: Associazione Artistico Culturale “La Torre del Drago” Bitritto (Bari) con “Rabbia di Lupo” di Luigi Facchino e regia di Luigi Facchino; “Centro di Cultura Teatrale Skené” di Matera con “Questi figli amatissimi” di Roberta Skerl e con la regia di Lello Chiacchio; “Compagnia Teatrale I Resti di Amleto” di Mesagne (Brindisi) con “Dialogo con Edipo” tratto da “La Tomba di Antigone” adattamento di Maria Zambrano e regia di Cesare Pasimeni; “Futura Compagna SenzArte” di Montescaglioso (Matera) con “La fattoria degli animali” di George Orwell e l’adattamento e la regia di Cinzia Suglia; Gruppo Teatrale “Tutto Esaurito” di Matera con “Divise” di Franco Sciannarella e la regia di Franco Sciannarella; “Associazione Ramulia” di Agrigento con “Sotto il sole di primavera ”di Lillo Zarbo e la regia di Lillo Zarbo.
“Cosa può dire il teatro? Tutto! Il teatro può dire tutto” ha detto Anatòlij Vasìl’ev portavoce del messaggio della giornata mondiale del teatro 2016. “Ammassi di corpi rabbiosi e
nudi. Il teatro è sempre stato e ci sarà per sempre - continua il regista russo - C’è bisogno di ogni specie di teatro. E fra le molte e diverse forme di teatro, quelle arcaiche saranno le più richieste. C’è bisogno di teatro di ogni genere”. Ecco, l’edizione targata 2016 di “Ritagliatti” è stato tutto questo e molto altro grazie alla forza espressiva del teatro, quello vero che trasuda dai corti portati in concorso. Il teatro a scena aperta, senza sipario, che ha trasmesso l’emozione vibrazionale dei personaggi interpretati dagli attori e che parlano agli spettatori, come parte terza ma primaria, in un’alchimia che solo il teatro può creare.
Il primo premio della giuria di qualità come miglior corto è stato assegnato al “Centro di Cultura Teatrale Skené” di Matera con il corto “Questi figli amatissimi” di Roberta Skerl e con la regia di Lello Chiacchio. Spaccato, volutamente caricato di comicità, della vita domestica di una famiglia “normale” che volge quasi al tragicomico quando s’intrecciano le vicissitudini della quotidianità; allora l’unica chiave di lettura e l’unica difesa possibile sono l’ironia e l’autoironia che tende al sarcasmo quando sulla scena arriva una figlia che cambia corso universitario a cadenza regolare e un figlio che ritorna a casa e porta il figlio di nome Enea che la sua compagna ha avuto però con un’altra persona; allora è pungente la battuta: “Enea è il figlio di Troia”.
Miglior attrice secondo la giuria dei giornalisti è stata segnalata Giampiera Di Monte della “Compagnia Teatrale I Resti di Amleto” di Mesagne (Brindisi) che ha interpretato “Dialogo con Edipo” tratto da “La Tomba di Antigone” adattamento di Maria Zambrano e regia di Cesare Pasimeni; questo corto si è aggiudicato anche il secondo posto nella classifica stilata dalla giuria tecnica. Un dialogo toccante tra Antigone e suo padre; un confronto figurato e reale a distanza e sulla distanza che scenicamente si traduce nella rappresentazione del padre con i piedi legati e la stessa Antigone bendata nell’estremo tentativo di immedesimarsi nella cecità visiva e affettiva del padre. È una contaminazione completa, vicendevole e continua fino alla finale e reciproca liberazione fisica e dei pensieri, perché la condanna a vivere è più crudele della condanna a morte.
La palma di miglior attore, invece, è stata assegnata a Luigi Facchino dell’Associazione Artistico Culturale “La Torre del Drago” di Bitritto (Bari) che ha interpretato “Rabbia di Lupo”; un dialogo intimo e a tratti violento con il proprio sé da parte di uno scrittore in crisi, portato in scena con l’ottima sponda interpretativa nel ruolo dell’alter ego da Francesco Latorre. La scena è avvolta così da un senso di sospensione tra il tempo che passa, i ricordi che restano, i sogni e la paura di vivere.
Al terzo posto si è classificato il corto “Sotto il sole di primavera” di Lillo Zarbo facente parte dell’Associazione “Ramulia” di Agrigento. Un monologo soffuso con la sonorità del dialetto siciliano che fa riecheggiare storie di immigrazione e di guerra che troppo spesso vengono dimenticate.
Degni di nota anche gli altri due corti in concorso. “Futura Compagna SenzArte” di Montescaglioso (Matera) ha proposto “La fattoria degli animali” di George Orwell con l’adattamento e la regia di Cinzia Suglia; un condensato significativo del celebre libro dello scrittore britannico, arguto visionario delle dinamiche politiche e dei comportamenti umani in un’analisi di contesto dove si gioca sull’inversione di ruolo tra uomini e animali e sulla sovrapposizione degli stessi istinti predatori. La sintesi è la disillusione nei confronti delle sovrastrutture che prendono il comando. Il corto “Divise” di Franco Sciannarella del gruppo teatrale “Tutto Esaurito” di Matera è, invece, la rappresentazione di due sorelle divise dalla guerra; si gioca sulla doppia eccezione del termine “divise”, nel senso di separate, ma anche come indicazione delle divise militare. Divise per colpa delle divise. Le due sorelle si parlano attraverso il muro che rappresenta la divisione generata dalla guerra; un muro che in scena è reso “umano” e rappresentato proprio dalle comparse disposte in fila, perché la guerra è essenzialmente un fatto umano e soprattutto disumano.
Il teatro è tutto questo; nell’ultima edizione di Ritagliatti è possibile rintracciare un fil ruoge spesso evidente, altre volte nascosto e da scoprire: il teatro è nudità e dualità. La nudità dei piedi sul palcoscenico, del corpo che recita, del contatto a pelle, la nudità dell’anima in cerca della realtà, la nudità dei comportamenti umani nella guerra interiore e in quella fatta con le armi. Perciò il teatro diventa elaborazione anche della dualità: Antigone e suo padre, le due sorelle separate dalla guerra, gli uomini e gli animali nella “Fattoria degli animali” di Orwell, dello scrittore con sé stesso e del reduce di guerra con i propri pensieri.
Allora, ritornando alla domanda iniziale e richiamando ancora il messaggio della giornata mondiale del teatro, si può certamente dire che: “E solo di un certo teatro non c’è bisogno: il teatro dei giochi politici, della trappola politica, il teatro dei politici, della politica; il teatro del terrore quotidiano, singolo o collettivo; il teatro dei cadaveri e del sangue sulle piazze e nelle strade, nelle capitali e nelle province, fra religioni ed etnie”.
Pubblicato nella rivista Scena numero speciale 2016
Roma, 15 aprile 1987. In un’elegante strada del quartiere Monte Mario è quasi l’alba; la brezza mattutina fa sentire sulla pelle gli ultimi segni del rigore invernale che tarda a dissolversi nell’incalzare dei primi tepori primaverili. Un giorno come tanti nella sonnacchiosa ma rampante capitale italiana della fine degli anni’80.
Un uomo piccolo di statura e con l’andatura incerta esce in strada e si muove meccanicamente, quasi a scatti; si sposta a fatica, come se di colpo tutta la vita vissuta lo schiacciasse con il peso assoluto della forza di gravità dei ricordi. Rimembranze sfumate, in via di dissolvimento.
È giorno. Le prime luci del mattino conquistano in fretta ogni anfratto della città che si rimette in movimento.
L’uomo resta immobile per un momento, avvolto nel suo silenzio ovattato. Poi fa un passo verso la direzione ignota di sé stesso. Quell’uomo aveva 73 anni ed era il professore di economia Federico Caffè.
Potrebbe sembrare l’incipit di un romanzo giallo, invece è la realtà; è stata la realtà sfuggente ma contingente di un giorno che, a distanza di molti anni, tende a sbiadire e a immergersi silenziosamente nei ricordi di una storia rimasta in sospesa, di una vita rimasta appesa nel limbo, proprio come le vite di chi scompare nel nulla senza lasciare nessuna traccia.
Chi era Federico Caffè
Federico Caffè era nato a Pescara il 6 gennaio 1914. Si è laureato con lode all'Università di Roma nel 1936 in Scienze Economiche e Commerciali. Nel 1945 è stato consulente del Ministro della Ricostruzione durante il governo Parri. Ha lavorato inizialmente presso la Banca d'Italia e poi si è dedicato completamente all’insegnamento prima nelle Università di Messina e di Bologna e poi, dal 1959 fino al suo ritiro per raggiunti limiti di età, in quella di Roma.
Oltre ai suoi scritti accademici, è stato un attento commentatore dell'attualità economica su giornali e riviste con la pubblicazione di numerosi articoli e saggi.
Tra i suoi studenti più importanti vi sono stati Mario Draghi e Ignazio Visco.
Gli ultimi anni della sua vita sono stati segnati da alcuni episodi che lo hanno emotivamente provato molto: la morte della madre e della tata che lo aveva cresciuto, la scomparsa dei colleghi Ezio Tarantelli assassinato dalle Br nell'85 e di Fausto Vicarelli in un incidente stradale e quella del suo studente Franco Franciosi, stroncato da un tumore. Al momento del congedo dalla vita accademica ha sofferto un profondo sconforto. Agli amici più stretti confessò di non riuscire a scrivere e di avere amnesie sempre più frequenti.
Ha emozionato l'opinione pubblica italiana la notizia dell’impegno dei suoi studenti nelle ricerche in tutta la città di Roma nei giorni successivi alla scomparsa; ricerche che, purtroppo, non diedero nessun esito.
Il Tribunale di Roma, con sentenza del 30 ottobre 1998, ha dichiarato la morte presunta.
Alla scomparsa di Federico Caffè è dedicato il film di Fabio Rosi "L'ultima lezione", dove la parte dell'economista è interpretata dall'attore Roberto Herlitzka. Il film è tratto dal libro inchiesta di Ermanno Rea “L' ultima lezione” (Einaudi).
Il professore e lo studioso
Federico Caffè prima di essere un economista era un professore universitario e ci teneva molto a questo ruolo. Diceva: “Un professore non è un conferenziere, non parla occasionalmente a degli sconosciuti che con tutta probabilità non rivedrà più. Un professore dialoga con gli studenti dei quali conosce spesso tutto o quasi tutto: problemi e speranze, capacità e lacune, ansie e incertezze. Li assiste nei loro bisogni. Li segue lungo una strada che può finire il giorno dell'esame ma che può anche andare avanti fino a quello della laurea e oltre”.
È stato uno dei principali diffusori della dottrina keynesiana in Italia. Al centro delle sue riflessioni economiche c’è stata sempre la necessità di assicurare elevati livelli di occupazione e di protezione sociale, soprattutto per i ceti più deboli.
Il suo pensiero economico si colloca nell’ambito di quella si può definire “la terza via”: la ricerca di un capitalismo storico, cioè funzionante nella pratica, che avesse, però, una regolamentazione nell’interesse generale. Il filo rosso che lega insieme i numerosi interventi nell’ultimo decennio della sua vita è l’individuazione e la regolamentazione degli strumenti per il controllo democratico dell’economia.
Afferma in particolare l’economista nei suoi scritti: “Nessun male sociale può superare la frustrazione e la disgregazione che la disoccupazione arreca alle collettività umane”.
Una visione dell’economia, dunque, a servizio dell’uomo e a sostegno dei più deboli; questa è la concezione portante del suo pensiero che si può definire come “cristianesimo laico”.
Un intellettuale contro
Posizioni idealiste, dunque, perseguite con lo spirito del riformismo applicato alla realtà. Per capire chi era effettivamente Federico Caffè e, forse, per comprendere il motivo della sua scomparsa bisogna soffermarsi non solo sulla sua personalità, ma anche e soprattutto sul pensiero economico. Una vita da autentico riformista, da sempre contro l’arroccamento del sistema politico e finanziario.
Soprattutto negli ultimi anni della sua vita i suoi interventi pubblici si sono orientati verso una critica dura per quanto concerne la deriva piratesca degli speculatori finanziari e più in generale nei confronti di un sistema economico che non garantiva la stabilità, la trasparenza e la partecipazione democratica.
A più riprese ha affermato la necessità di arrivare a una separazione fra la gestione dell’intermediazione finanziaria da affidare ai poteri pubblici e l’attività produttiva che, invece, doveva essere lasciata al mercato, garantendo condizioni effettivamente concorrenziali e non posizioni oligarchiche imperanti.
In questa prospettiva, senza timore, si scagliava anche contro i soggetti istituzionali, anche sovranazionali, che a suo modo di vedere non garantivano l’equità. La sua preoccupazione per gli effetti negativi di un sistema internazionale che funzionava da sé, ma senza regole eque, emergeva anche nei commenti sprezzanti sul ruolo del Fondo Monetario Internazionale.
Perché è scomparso?
Un intellettuale scomodo, dunque, che dava fastidio all’establishment? O semplicemente la sua scomparsa è dovuta a motivi personali? Forse entrambe le cose.
C’è, però, un aspetto che può rappresentare una possibile chiave di lettura. L’economista ha avuto sempre una posizione molto netta nel denunciare la progressiva e inesorabile rinuncia alla sovranità monetaria, avvertita come un danno, in quanto aggravava il divario fra paesi ricchi e quelli poveri. A più riprese contestava il fenomeno dei movimenti “anormali” di capitali, evidenziando tutta la sua diffidenza verso formule semplicistiche che affidavano ad autorità sovranazionali di estrazione tecnocratica e non democratica l’esclusività dei controlli in ambito finanziario.
In uno dei suoi articoli ipotizzava, come provocazione ma neanche tanto, addirittura la chiusura delle borse.
Da sempre era convinto che “la sovrastruttura finanziario-borsistica con le caratteristiche che presenta nei paesi capitalisticamente avanzati favorisca non già il vigore competitivo ma un gioco spregiudicato di tipo predatorio, che opera sistematicamente a danno di categorie innumerevoli e sprovvedute di risparmiatori in un quadro istituzionale che di fatto consente e legittima la ricorrente decurtazione o il pratico spossessamento dei loro risparmi“. Una visione che, alla luce anche degli ultimi fatti di attualità, è stata più di una profezia.
Nonostante l’euro fosse all’epoca ancora poco più di un progetto, le sue perplessità sul sistema monetario europeo appaiono incredibilmente e tragicamente attuali.
Profetiche le sue parole quando dichiarava: ”in Europa abbiamo circa 10 milioni di disoccupati; né si prevede che il loro numero diminuisca negli anni ottanta”.
Parole lungimiranti e lucide soprattutto quando sinistramente denunciava il prepotere nelle borse degli “incappucciati”, come egli definiva “gli operatori ignoti che dall’interno o dall’estero sono in grado di avere una influenza non chiara e non verificabile su decisioni di rilevante importanza finanziaria o sull’andamento della borsa”. Parole pesanti come macigni, alla luce di cosa è successo in questi anni e di quello che continua a verificarsi.
Ci sono, poi, un paio di episodi che fanno riflettere: poco tempo prima della sua scomparsa, il 27 marzo 1985, il suo allievo Ezio Tarantelli è stato ucciso nel parcheggio dell’Università La Sapienza; attentato poi rivendicato dalle fantomatiche Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente.
L’altro episodio riguarda Aldo Moro. Nel 1974 il presidente democristiano ha favorito l'emissione di moneta cartacea a corso legale, le famose 500 lire con la testa di Mercurio, sottraendo di fatto la sovranità monetaria alla banca centrale e attribuendola allo stato, così come stabilito dalla costituzione. Moro si era avvalso per questa emissione proprio della consulenza di Federico Caffè che poco prima aveva pubblicato studi significativi sulla moneta “buona” e quella “cattiva” e si era messo di traverso alle privatizzazioni delle banche pubbliche, poi negli anni successivi, di fatto, tutte privatizzate.
Questioni non di poco conto se pensiamo che più o meno la stessa cosa aveva fatto anche Kennedy in America e dopo poco, come sappiamo, fu assassinato.
Per Federico Caffè l’incedere del capitalismo moderno era percepito come una sconfitta culturale e politica. A un certo punto della sua vita si sono mischiati insieme in una miscela esplosiva il suo imminente deperimento fisico e i primi sentori della crisi finanziaria e di riflesso, dunque, la sconfitta di alcuni ideali in cui credeva fermamente. Troppo per un uomo coriaceo come lui, troppo per una voce che gridava nel deserto lucidamente, nel ruolo infausto di una moderna Cassandra.
Il giornalista Giuseppe D’Avanzo in suo articolo parlando di Caffè lo ha definito come: ”economista disubbidiente e seduttore intellettuale, ha voluto lasciare il mondo e il peso di un enigma a chi è rimasto”.
Una vita dedita allo studio del sistema economico che improvvisamente diventa evanescente, esattamente come la sua vita sotto l’attacco della senilità: così a quel punto la sua vita diventa priva di senso, quasi presunta, proprio come la sua morte.
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