Giornalista iscritto all'Albo Nazionale dal 2012
Attualmente redattore del mensile Mistero
rivista dell'omonima trasmissione televisiva di Italia Uno
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«Nella nostra società, quelli che sanno perfettamente ciò che sta succedendo sono anche quelli che meno riescono a vedere il mondo così com’è». Emblematica e significativa risulta la frase del visionario e controverso George Orwell, autore del famoso romanzo distopico “1984”. L’autore propone nel suo libro una visione cupa di un futuro ipotetico, ma forse abbastanza probabile, dove ogni aspetto della società è iper-controllata e l’identità individuale è completamente annientata. Potere, controllo e schiavitù: tre parole che dipingono scenari preoccupanti, di cui la storia dell’umanità purtroppo è costellata. Basti pensare, per esempio, all’esperienza dei campi di concentramento nazisti durante la seconda guerra mondiale. Quando furono scoperti dalle forze alleate, capitanate dall’esercito americano, ci fu un grande moto di indignazione a livello mondiale. “Mai più una simile tragedia…” si diceva, ma a quanto pare l’uomo ha la memoria corta.
Nuovi campi di concentramento?
Quando si parla dei campi di concentramento l’immaginario collettivo è legato a visioni funeste: morte, dolore e disperazione. Sarebbe impensabile, dunque, costruire nuovi campi di concentramento? Secondo alcune notizie riservate, ma che da tempo pian piano stanno trapelando, sembrerebbe proprio di no. A quanto pare negli Stati Uniti, infatti, esisterebbero già oltre ottocento strutture costruite o ristrutturate in particolare nell’ultimo decennio. Strutture che secondo alcuni potrebbero svolgere proprio la funzione di moderni campi di concentramento. Il dato preoccupante, però, è che sembrerebbero già pronti e in alcuni casi anche operativi. Per fare cosa? Ovviamente le informazioni sono frammentarie e non ufficiali, sebbene comunque esiste in rete un discreto quantitativo di foto e video. Si tratta effettivamente di campi di concentramento? Di detenzione? O cos’altro? Tutti i campi sarebbero attraversati da vie ferrate e molti disporrebbero anche di un aeroporto nelle vicinanze. La maggioranza dei campi avrebbe una capacità ricettiva media di circa 20 mila persone e complessivamente attualmente potrebbero accogliere circa 2 milioni di persone. Molti siti sarebbero campi di concentramento utilizzati durante la seconda guerra mondiale per internare i concittadini di origine giapponese, tedesca e italiana.
Secondo la tesi più accreditata si tratterebbe di strutture costruite e gestite dalla FEMA (Federal Emergency Management Agency) ossia l’agenzia federale americana incaricata di gestire le situazioni di emergenza. Ovviamente non si conosce con precisione l’ubicazione di tutti i campi, ma a quanto pare sarebbero un numero considerevole, distribuiti in tutto il territorio americano.
La FEMA
La FEMA è stata creata il 1° aprile 1979 attuando l'ordine esecutivo n. 12127 del presidente Jimmy Carter. Essa ha concentrato in un’unica struttura le attività di varie agenzie governative quali: la Federal Insurance Administration, la National Fire Prevention and Control Administration, il National Weather Service Community Preparedness Program, il Federal Preparedness Agency e la Federal Disaster Assistance Administration.
Nel 1993 Bill Clinton ha trasformato la direzione della FEMA in un dipartimento di gabinetto del governo, ampliando notevolmente e ulteriormente i suoi poteri.
Dal 2003 ha assunto anche la gestione con ampia autonomia della difesa civica in accordo con il Dipartimento della Difesa che ha proprio il compito di preparare e proteggere i cittadini, per esempio, nell'eventualità di un attacco militare.
Lo scopo dichiarato della FEMA è di “ridurre la perdita di vite e di proprietà e proteggere la nazione da tutti i rischi, compresi disastri naturali, atti di terrorismo e altri disastri provocati dall'uomo, e appoggiare la nazione con un sistema basato sul rischio, e onnicomprensivo, di gestione delle emergenze, composto da preparazione, protezione, risposta, recupero e mitigazione”.
Nell’ambito delle attività di questa agenzia rientrano principalmente due programmi. Il primo è il “Readiness Exercise 1984” (REX-84) che riguarda tra l’altro anche l'implementazione della legge marziale, lo spostamento massiccio della popolazione in caso di grave crisi, l'arresto e la detenzione arbitraria in presenza di determinate condizioni. Una prova del programma è stata tenuta dal 5 al 13 aprile 1984. È stata guidata dalla FEMA e dal Dipartimento della Difesa con il coordinamento di altre trentaquattro agenzie e dipartimenti federali. Il programma “REX-84” prevederebbe anche la chiusura temporanea di molte basi militari per convertirle in prigioni. Simili esercitazioni, su larga scala, in particolare quelle di preparazione alle emergenze, nel corso degli anni sono state compiute a scadenza regolare.
L’altro programma riguarda, invece, l’operazione “Garden Plot” ed è gestito in collaborazione con l'esercito degli Stati Uniti e la Guardia Nazionale sotto il controllo dello US Northern Command (NORTHCOM); ha lo scopo di fornire appoggio militare di carattere federale durante eventuali disordini civili interni. È importante notare che una norma dell'Atto di Autorizzazione di Difesa Nazionale, firmato dal presidente Obama l'ultimo dell'anno nel 2011, ha riconosciuto al governo il potere straordinario di arrestare e detenere cittadini americani senza nessun processo in casi particolari al fine di garantire l’ordine pubblico.
Per ben tre volte si è rischiato che la FEMA potesse prendere il controllo: la prima durante la presidenza Reagan nel 1984 e due volte durante la presidenza Bush, nel 1990 e 1992. In tutte e tre le occasioni non ci sono state, però, le condizioni sufficienti per dichiarare la legge marziale.
La FEMA potrebbe essere investita dei suoi ampi poteri, per esempio, in caso di minaccia nucleare, sommosse in varie città degli Stati Uniti, una serie di disastri nel paese con un reale pericolo su larga scala per la popolazione, attacchi terroristici diffusi, una recessione economica o una calamità naturale di enormi dimensioni.
Di fatto, la FEMA ha speso solo circa il 6% del suo budget per le emergenze nazionali; il grosso dei finanziamenti è stato adoperato per la costruzione di edifici sotterranei che assicurino la governabilità in caso di emergenza interna o esterna; un’altra parte consistente dei finanziamenti è stata spesa ed è utilizzata attualmente per l’allestimento proprio di alcune strutture particolari.
I campi FEMA
Queste strutture sono disseminate in molti stati americani e alcune hanno caratteristiche davvero particolari; in particolare le ritroviamo in Alabama, Arizona, Arkansas, California, Colorado, Florida, Georgia, Hawaii, Illinois, Indiana, Kansas, Kentucky, Louisiana, Massachusetts, Minnesota, Montana, Nebraska, Nevada, New jersey, New Mexico, New York, Ohio, Oklahoma, Pennsylvania, Tennessee, Texas, Utah, Virginia, Washington e Wisconsin. Secondo alcune indiscrezioni sembrerebbe che anche molte basi militari canadesi abbiano le stesse caratteristiche.
A un primo aspetto sembrano dei campi militari, infatti dispongono di recinsioni e barricate che servono a creare delle aree "off limits". L'entrata nei campi è controllata con un sistema di identificazione sia per gli occupanti sia per eventuali visitatori.
Nei confronti degli appaltatori che hanno costruito i campi sono state fatte delle richieste ben precise e particolari: fornitura per trattamenti medici, moduli per la ristorazione, docce mobili e spazi per le attività di "ricreazione morale e di benessere".
La FEMA, inoltre, ha costruito trecento unità mobili sofisticatissime che garantiscono l’autosufficienza per almeno un mese. Tali veicoli sono dislocati principalmente in cinque aree degli Stati Uniti. Sono dotati di sistemi di comunicazione avanzatissimi e ciascuno di essi contiene un generatore in grado di fornire elettricità a centoventi abitazioni; fino ad ora, però, non sono mai stati adoperati in caso di calamità, quindi dovrebbero servire per attività ben precise e riservate.
La stranezza più evidente, però, e quella che fa anche più scalpore è la presenza in alcuni siti di oltre 500mila bare di plastica da sei posti ciascuna. Queste bare non sono biodegradabili e hanno una guarnizione che le rendono perfettamente ermetiche. A che cosa potrebbero servire? Non è dato saperlo con precisione. Un’altra stranezza che aumenta notevolmente il mistero intorno a questi campi riguarda l’acquisto da parte di alcuni stati americani di ghigliottine automatiche, molto probabilmente destinate proprio a queste strutture.
Alcuni siti sarebbero dotati anche di particolari strutture che hanno l’aspetto di enormi forni. Allora la domanda, prima di ipotizzare scenari di qualsiasi tipo, diventa lecita: come saranno utilizzate queste strutture? Qual è la loro reale funzione?
A cosa servono i campi FEMA?
L’effettiva funzione attuale e soprattutto quella futura non è certa e non ci sono elementi sufficienti per avanzare ipotesi credibili; la vicenda, comunque, da anni desta molta preoccupazione ed è costellata da molti punti interrogativi.
A quanto pare le strutture gestite dalla FEMA non sono tutte uguali e possono essere classifiche essenzialmente in tre tipi. Il primo tipo, seguendo le voci complottistiche, avrebbe in toto l’aspetto di un campo di prigionia classico, il secondo sembrerebbe più un campo di protezione e il terzo, infine, potrebbe essere considerato addirittura un agglomerato urbano indipendente e autosufficiente.
Il primo tipo è caratterizzato dalla presenza di un doppio filo spinato lungo il perimetro; inoltre, lungo tutto il campo, sono presenti torrette di controllo con alcune sentinelle. L’ingresso è spesso rivolto all’esterno della prima recinzione (in modo da non essere accessibile da eventuali detenuti) ma allo stesso tempo è protetta anche da intrusioni esterne. La struttura del campo è ad anelli concentrici indipendenti e all’interno di essi sono presenti baracche prefabbricate in legno.
Il secondo tipo è impostato più o meno alla stessa maniera del primo, ma con alcune fondamentali differenze: le recinzioni non hanno le sporgenze con il filo spinato dal lato interno come in quello precedente; questo potrebbe far pensare che chi sta dentro non è considerato un prigioniero o in generale non è considerato una minaccia; inoltre le torrette sono quasi sempre dentro il campo e comunque distanti dalla recinzione. Infine, sono presenti una serie di postazioni in cemento armato poste, comunque, spesso vicino agli ingressi e richiamano alla memoria le tipiche postazioni delle mitragliatrici delle aree militarizzate.
Nel terzo tipo, infine, non ci sono recinzioni vere e proprie e le difese perimetrali sono più ampie. Al suo interno non si trovano baracche in legno ma camper e roulotte bianche oppure case prefabbricate antivento con parecchi comfort e una dotazione di energia elettricità indipendente; intorno alla zona abitabile si alternano canali d’acqua (probabilmente da usare per l’irrigazione) e aree coltivabili a riso e altre colture. Anche in questo caso la struttura ha una forma ad anelli concentrici.
Negli ultimi due tipi di campi di cui abbiamo parlato è presente una struttura di difesa centrale fortificata idonea a ospitare per giorni un numero consistente di persone; sono presenti check-point utili per controllare accuratamente gli ingressi. Sembrerebbero punti di controllo per lo smistamento delle persone delle aree a rischio terrorismo o quelli presenti nelle zone di guerra urbana, simili a quelli già visti, per esempio, nello stato d’Israele o dopo le guerre di Afghanistan e Iraq.
È probabile che i tre tipi di campi abbiano scopi differenti, soprattutto in considerazione del fatto che l’organizzazione governativa ha preparato diversi tipi di piani di emergenza in funzione delle varie situazioni che potrebbero verificarsi. Si tratta solo di questo?
Sebbene non è certo lo scopo per il quale potrebbero essere utilizzati questi campi, di certo alimentano le teorie complottistiche secondo le quali la presenza e il potenziamento di questi siti sarebbero funzionali alle attività presenti e future del Nuovo Ordine mondiale, dove avrebbero un ruolo prioritario proprio gli Stati Uniti d’America. Si aprono, così, scenari cupi e preoccupanti come profetizzato ancora una volta da Orwell quando diceva: «Se vuoi un'immagine del futuro, immagina uno stivale che calpesta un volto umano…per sempre».
Nel 1588 il medico Giulio Jasolino nel suo libello "Dè rimedi naturali che sono nell' isola di Pithecusa hoggi detta Ischia” così narrava: «nel monte esservi un profondissimo antro ombroso per spazio di due miglia, e cinquecento miglia dè boschi, e molto dilettevole per lo mormorìo dè ruscelli. Indi dopo così lunga discesa si scopre un'altra spelonca, la quale nell' incontro già oscura, ha un tempio consacrato a Giove, poi nell' ultimo dell'andito gli abitatori affermano esservi il letto di Tifone». Versi sibillini scritti appositamente forse per una zona specifica dell’isola d’Ischia che è descritta in maniera inusuale: pur tenendo conto della straordinaria bellezza del paesaggio, il medico studioso si sofferma, però, su alcune peculiarità curiose; qualcosa che ci riporta a un passato antico e misterioso. Ischia è un luogo incantevole e magico. Magico in tutti i sensi.
Il Monte Epomeo
Il monte Epomeo con i suoi 789 metri è la parte più alta dell'Isola d'Ischia. Si tratta di uno vulcano inserito al centro di un complesso sistema di faglie attive, il cui processo di sollevamento è iniziato circa 100mila anni fa, come dimostra il fatto che tutta l'isola è stata interessata più volte in passato da un'intensa attività vulcanica. Il Monte Epomeo domina Ischia e rappresenta circa il 34% della superficie totale della celebre “isola verde”; non è un vero e proprio vulcano ma un immenso blocco inclinato di tufo verde fuoriuscito dalle profondità della terra al termine di una grande eruzione di tipo esplosivo circa 55mila anni fa.
Fin dal tempo delle colonizzazioni greco-romane l’isola è stata considerata uno dei luoghi in cui Zeus recluse Tifone, proprio al di sotto del Monte Epomeo.
Secondo la leggenda il primo a visitare questo posto è stato un pastore greco che si chiamava proprio Epomeo il quale, stabilitosi sull’isola, si scavò una grotta nel tufo e qui rimase fino alla vecchiaia; le sue lacrime diedero vita alle famose acque di Buceto, Nitrodi e Olmitello. Una terra, dunque, strettamente collegata alla mitologia e alle storie leggendarie.
Il mondo di Agharta
Un luogo magico e affascinante allo stesso tempo: oltre all’incantevole scenario paesaggistico questa terra nasconde al suo interno qualcosa di profondamente misterioso.
Il Monte Epomeo, infatti, è ritenuto essere uno dei punti di accesso al mitico mondo sotterrano di Agartha insieme ad altri dislocati in vari punti della Terra; tra questi il Polo Nord, il Polo Sud, le piramidi di Giza in Egitto e il deserto del Gobi in Mongolia, così come descritto nel 1908 dallo scrittore Willis George Emerson nel suo romanzo fantastico dal titolo "Il Dio fumoso o il Viaggio nella Terra Cava". Il romanzo si presenta sotto forma di un resoconto del viaggio di un marinaio norvegese, Olaf Jansen che giunge all'interno della Terra, dove si troverebbe il mitico regno di Agartha, attraversando un passaggio situato al Polo Nord. Secondo il resoconto Agartha, illuminata da un "fumoso" sole centrale, è composta da una fitta rete di colonie e abitata da uomini alti circa quattro metri. La capitale del regno è Kalapa, paragonabile addirittura all'originario Giardino dell'Eden.
Il primo a parlare del Monte Epomeo come una delle entrate di questo misterioso mondo è stato Corrado di Querfurt, vescovo di Hildesheim e poi di Würzburg, ma soprattutto cancelliere di Arrigo VI dal 1194 al 1201. Nel 1196 in una serie di epistole il vescovo tedesco parla di come sia riuscito a penetrare in un anfratto su un monte, raggiungendo una misteriosa città sotterranea, prima di essere costretto alla fuga da alcuni guardiani “fatti di aria”, ma armati di spada e frecce. Quefurt ha individuato e ubicato il monte in questione sull’isola di Ischia; proprio la stessa zona che notoriamente, secondo un retaggio che si perde nella notte dei tempi, era considerata la sede delle anime penitenti, una specie di limbo che si estendeva, secondo la leggenda, fino ai Campi Flegrei.
La zona, dunque, è in relazione, proprio per la sua conformazione morfologica, con il culto dei morti ed esotericamente con il concetto della rinascita. Il mito di Agharta, dunque, trova un punto di contatto proprio con questa credenza locale delle anime penitenti che da sempre sono associate al mondo sotterraneo degli inferi.
La ricerca della terra cava e del regno di Agartha ha coinvolto anche i Nazisti durante la seconda guerra mondiale. Hitler era ossessionato dall’esoterismo e dai miti di antiche civiltà tecnologicamente evolute e ancora nascoste in qualche parte della terra; negli anni in cui è stato al potere ha provato spasmodicamente a cercare tracce di queste testimonianze ma con scarso successo. A Ischia, in particolare, i Nazisti avrebbero cercato l’entrata del possibile tunnel dell’Epomeo partendo dal luogo più misterioso dell’isola, la grotta di Mavone, oggi praticamente inaccessibile e situata in località Scannella (frazione di Panza a Forio d’Ischia) su un costone roccioso a picco sul mare. Le ricerche sarebbero poi proseguite con l’analisi della Grotta del Mago che si trova a Ischia Ponte dopo gli scogli di S. Anna, ma attualmente solo parzialmente accessibile. Anticamente è storicamente accertato che in questi luoghi si praticasse il culto solare.
San Nicola e il culto della rinascita
Sulla sommità del monte Epomeo ci sono due terrazze: su di una si accede alla fine di un tortuoso sentiero in salita; qui si affaccia una chiesetta del 1459 scavata nel tufo e dedicata a San Nicola di Bari. Un tempo era un eremo, divenuto famoso poiché vi si ritirò Giuseppe d'Argut, governatore di Ischia sotto Carlo di Borbone.
Prima di tutto è importante notare la strana assonanza fonetica tra Argut e Agharta, anche se questa può essere relegata solo alla mera coincidenza. L’elemento, invece, più importante è certamente un altro: il collegamento tra il culto di San Nicola e quello solare anticamente, come abbiamo visto, già praticato in loco. È incredibile notare come la basilica di San Nicola a Bari e la chiesa sulla sommità del monte siano quasi perfettamente allineate dal punto di vista geografico. Questo lascerebbe intendere un collegamento importante, non solo nominativo, tra i due luoghi.
In prima battuta va rilevato la grande valenza esoterica del posto, dove ritroviamo contemporaneamente il culto solare e il mito di Agharta; in altre parole uno straordinario esempio pratico del famoso motto “come sopra così sotto”: il culto solare in superficie e quello di Agharta nelle viscere della terra. Tra l’altro nella descrizione classica della mitica civiltà sotterranea l’elemento fondamentale è proprio il culto del sole nero all’interno della terra cava.
Il culto solare è un retaggio vecchissimo che pone al centro delle credenze mistico religiose proprio l’astro celeste per eccellenza, inteso in primo luogo come generatore di luce e quindi di vita.
San Nicola è noto anche al di fuori del mondo cristiano perché la sua figura ha dato origine al mito di Santa Claus ossia del nostrano Babbo Natale. Si venera il 6 dicembre, proprio a ridosso del culto del Sol Invictus e con esso ha uno stretto collegamento. Questa festa pagana ripresa poi e inglobata nella celebrazione cattolica del Natale indica l’invincibilità del sole che, dopo il periodo invernale, torna ad allungare le giornate e le ore di luce. Rappresenta, quindi, simbolicamente la rinascita.
Il culto del sole e della rinascita, però, presuppone uno stretto collegamento complementare con la morte e con l’oscurità. Il monte Epomeo, dunque, racchiude in sé il ciclo completo con una forte valenza simbolica: morte e rinascita.
In natura e dal punto di vista astronomico questo ciclo è compreso nell’alternarsi della luna e del sole. L’etimo del nome Nicola deriva dall’unione di due parole greche “Nike” e “Laos” e significa quindi “Vincitore del Popolo”. Per gli antichi, infatti, la “Vittoria” era personifica dalla “Nike”. Questa divinità era l’immagine del potere invincibile di Zeus e di Pallade Atene. Quest’ultima era venerata anche con il nome di Atene Nike e non era alata poiché, essendo l’alter ego della divinità, non si poteva staccare da essa. Atena era inoltre, secondo la mitologia classica, la personificazione della sapienza, dell’agilità e della guerra. Essa era anche la regina del cielo e una delle dodici divinità più importanti dell’Olimpo, nonché una delle tante facce della Grande Madre e del suo archetipo la Dea Bianca, cioè la luna. Come si può quindi notare la figura di San Nicola è ambivalente e sintetizza e nasconde in sé il principio maschile e femminile.
Ecco che il ciclo si chiude e possiamo comprendere meglio la grande carica esoterica di questo posto: sole e luna, microcosmo e macrocosmo, morte e rinascita, buio e luce.
Tutto questo è solo leggenda? Non proprio. Personaggi insospettabili si sono occupati dell’argomento. La famosa astrofisica italiana Margherita Hack, per esempio, nel suo libro “Notte di stelle” riepiloga tutta la storia suggestiva di Agharta, arrivando persino a riportare una cartina di Max Fyfield, raffigurante in sintesi la Terra Cava e i suoi ingressi. Tra questi, come sottolineato con stupore dalla stessa Hack, figura proprio anche il Monte Epomeo. Stelle e anfratti sotterranei: come sopra così sotto.
Sogno e realtà: sono le due dimensioni tra le quali oscilla ogni individuo, costantemente, sin dalla nascita e in particolare in tenera età quando s’iniziano ad ascoltare le favole, ossia la prima forma di astrazione dalla realtà nel tentativo di tendere al sogno e alla pura fantasia. Tra le favole che maggiormente stimolano questo processo c’è senza dubbio “Alice nel paese delle meraviglie” dello del britannico Charles Lutwidge Dodgson, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Lewis Carroll: scrittore originale, fotografo e straordinario ideatore di indovinelli e sciarade inseriti anche nelle sue opere letterarie. Ha scritto libri di successo mondiale, solo apparentemente favole per intere generazioni di bambini, ma in realtà storie simboliche che parlano all’inconscio degli adulti che spesso nella loro supposta maturità confondono proprio sogno e realtà. “Un sogno non può essere realtà, ma chi decide cosa è e cosa non è?” dice il Cappellaio Matto nella recente trasposizione cinematografica di “Alice attraverso lo specchio”.
Alice attraverso lo specchio
Da pochi mesi è uscito nelle sale cinematografiche il film “Alice attraverso lo specchio” (titolo originario “Alice Through the Looking Glass”) prodotto dalla Walt Disney, diretto da James Bobin e interpretato da Mia Wasikowska, Johnny Depp, Anne Hathaway e Helena Bonham Carter. Il film è il sequel di “Alice in Wonderland” del 2010 ed è ispirato al romanzo “Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò”.
La protagonista Alice Kingsley, dopo tre anni trascorsi in un avventuroso viaggio in Cina come capitano al timone della nave ereditata dal padre, finalmente torna a Londra e scopre che il suo ex fidanzato, lord Hamish Ascot, ha ereditato il controllo della compagnia del defunto padre. Il signorotto complotta per costringere la madre di Alice a vendergli la nave in cambio della propria casa. Dopo uno scontro con la madre, Alice segue una farfalla che riconosce essere il Brucaliffo e, attraversando magicamente uno specchio, fa ritorno in quello che è definito il “Sottomondo”. Proprio in questa dimensione magica la ragazza incontra alcuni personaggi straordinari già presenti dell’altra avventura: la Regina Bianca, il Bianconiglio, Pincopanco e Pancopinco, il Ghiro, Bayard e lo Stregatto; sono proprio questi ad informarla che il Cappellaio è diventato triste e solitario. Alice, allora, gli fa visita e tenta di consolarlo per convincerlo che la sua famiglia, data per morta anni prima, in realtà è ancora viva ed è sopravvissuta all'attacco del Ciciarampa nel "giorno orristraziante".
Così la Regina Bianca suggerisce ad Alice di consultare il Tempo in persona per convincerlo a salvare la famiglia del Cappellaio. Nel palazzo del Tempo Alice si imbatte nella Cronosfera, un oggetto con il quale è possibile viaggiare attraverso il tempo; per Alice, ormai non più bambina, ha inizio una nuova avventura in un mondo fantastico.
Non solo una favola
In primo luogo si può notare che in questa avventura Alice è cresciuta e, dunque, non è la più bambina annoiata “costretta” a rifugiarsi in un mondo fantastico per rimediare alla monotonia della lettura di un libro. Non solo siamo al cospetto di Alice ormai adulta, ma questa ha addirittura un ruolo importante come quello di capitano di una nave, lavoro che all’epoca dell’ambientazione del romanzo è prettamente maschile. Nel “sottomondo” questa volta non accede per caso, ma con la consapevolezza di un adulto. Questi elementi denotano la volontà dell’autore di rimarcare un percorso iniziatico e di maturazione della protagonista. Se, quindi, nell’avventura precedente gli aspetti preminenti sono la stessa ambientazione fantastica e surreale e gli strani personaggi che la popolavano, nella seconda avventura, invece, l’attenzione si sposta decisamente sul cambiamento e sulla trasformazione; non a caso, perciò, l’elemento centrale che accompagna tutto il film è certamente il tempo e il suo inesorabile incedere. Se, quindi, la chiave di lettura del primo film è necessariamente la crescita interiore verso la maturità, in questa seconda pellicola, invece, la crescita ha un aspetto spirituale: Alice è già matura e deve ora confrontarsi con il mondo, con il cambiamento e con il tempo. Quest’ultimo si può misurare solo attraversandolo, da qui la necessità di viaggiare nel tempo: vecchio e inesplorato cruccio dell’essere umano. Un viaggio nel tempo e attraverso il tempo, ma anche dentro sé stessa attraverso lo specchio. “Il tempo è un padrone crudele” si dice nel film. Viaggiare nel tempo è essenzialmente l’atavico tentativo di modificare il corso delle cose e degli avvenimenti, ma soprattutto il tentativo di modificare l’immodificabile. “Si dice che il tempo sia nemico dell’uomo” recita il Signore del Tempo, comunque allo stesso tempo “non si può cambiare il passato ma si può imparare da esso”. Non a caso il Signore del Tempo viene identificato come un dio bizzarro ed è chiaro, dunque, il riferimento a Cronos. Questo allarga la prospettiva al sistema ontologico di riferimento. Come in “Alice nel paese delle meraviglie” anche nel recente film esiste un preciso riferimento esoterico relativamente al rapporto piccolo – grande, ossia al microcosmo e al macrocosmo. Infatti, non appena Alice attraversa lo specchio diventa piccolissima e allo stesso modo sono piccolissimi anche i membri della famiglia del Cappellaio Matto. Proprio quest’ultimo è un personaggio centrale ed è la rappresentazione simbolica e mediata di Mercurio e di Hermes. L'origine dell'espressione “Cappellaio Matto” viene solitamente associata con l'uso del mercurio nella lavorazione dei tessuti anche dei cappelli; tale sostanza poteva avere effetti deleteri sul sistema nervoso degli artigiani che lo maneggiavano. Non è un caso che nel film il trucco usato per il personaggio interpretato da Johnny Depp riprende aspetti sintomatici dell'avvelenamento da mercurio che, per esempio, si può desumere dalla presenza di macchie arancioni sulla pelle. Mercurio, inoltre, era il messaggero degli dei, dio protettore dei viaggi, della comunicazione, dell'inganno e della divinazione. Tra gli altri ruoli Hermes era anche il portatore dei sogni e il conduttore delle anime dei morti negli inferi. Si evidenzia, dunque, lo stretto rapporto tra il tempo e la morte fisica e spirituale.
Un altro elemento certamente caratteristico del film è il Brucaliffo che, sebbene appaia in poche scene e in particolare all’inizio e alla fine del film, ha una valenza esoterica notevole, non fosse altro per il fatto che il piano narrativo si apre verso il fantastico proprio nel momento in cui Alice lo insegue. Il Brucaliffo si presenta nelle vesti di una farfalla blu, “animale spirituale” simbolo per eccellenza della metamorfosi e del rinnovamento; rappresenta la possibilità concessa a ognuno essere umano di avere una seconda possibilità per superare un ostacolo o una prova. Dal punto di vista simbolico è importante notare le fasi della trasformazione di questo animale: senza interventi esterni, infatti, passa dalla condizione di bruco a quella di larva e infine di farfalla; questo processo rappresenta la trasformazione spirituale. Una credenza popolare greco-romana, inoltre, considerava la farfalla simbolo dell’anima che esce dal corpo. Il Brucaliffo è, dunque, la voce interiore, quella che ci guida verso un percorso di maturazione e quindi di introspezione e soprattutto di “riflessione”.
L’elemento centrale: lo specchio
Nelle opere di Carroll l’elemento comune è la dicotomia tra sogno e realtà e anche nel film viene messo in bene in evidenza, supportato dai sapienti e ben congegnati effetti speciali. Reale e surreale si confondono e si sovrappongono. Nel film, in particolare, tra i due stati si passa necessariamente proprio attraverso lo specchio. La scena di questo passaggio nel libro viene così descritta: “L'istante dopo, Alice passava attraverso lo specchio e vi saltava agilmente dentro. ’Che divertimento sarà, quando mi vedranno attraverso lo specchio e non potranno toccarmi!’. Poi cominciò a guardarsi intorno e notò che tutto ciò che poteva essere veduto dalla vecchia stanza era comune e poco interessante, ma che tutto il resto era completamente diverso”.
Lo specchio è certamente un elemento ricorrente nelle favole, basti pensare per esempio anche a Biancaneve e riveste una grande valenza esoterica e simbolica.
Tutto ciò che è atto a mostrare noi stessi a noi stessi induce a due differenti comportamenti: ritrarci o restare. Lo specchio, in tal senso, è un potente strumento di conoscenza o di punizione, un oggetto - ponte fra realtà e fantasia. La parola specchio deriva dal latino “speculum”, ossia “specere” (guardare, osservare). “Speculum” ha poi anche una correlazione con il termine “speculare” ossia esaminare con attenzione e scrutare oltre. Guardare oltre proprio come lo sguardo che diviene “veritas” quando riflette il dentro e “vanitas” quando diviene contemplazione di sé. Lo specchio è deformante per definizione: restituisce un’immagine inversa di quella reale, quindi irreale. Mettersi di fronte a uno specchio significa prendere coscienza del sé esteriore ed interiore in maniera assoluta; significa cioè conoscere sé stessi. Ogni conoscenza è un cammino verso e oltre sé stessi e questo reca necessariamente un dolore. L’elemento importante da notare è il capovolgimento della realtà e di “riflesso” di sé stessi, tipica per esempio dell’iniziazione massonica: lo specchio riflette la propria immagine esteriore, ma induce anche alla riflessione dei pensieri che, invece, è un lavoro interiore. Per tale motivo nell’iniziazione massonica troviamo la fase in cui l’iniziando trascorre del tempo in un “Gabinetto di Riflessione”, antistante il tempio massonico, ma separato dal medesimo, ove mediante la presenza di simboli posti all’interno, il soggetto stesso attua il capovolgimento del proprio stato.
Alice attraverso lo specchio rappresenta, dunque, tutto questo: una favola per adulti che indica in maniera mediata un percorso di crescita attraversando sé stessi e il tempo, perché come viene ribadito nel film “l’unica maniera di ottenere l’impossibile è pensare che sia possibile”.